Uno spettacolo ormai diventato di culto, ispirato al generativo saggio di Koolhaas, ritorna a Milano (e non solo) nel corso di una “singolare” mini-tournée
«Un edificio ha almeno due vite, quella immaginata da chi lo ha ideato e quella che vive dopo la sua realizzazione – e non è mai la stessa». Parole di Rem Koolhaas, un signore che non ha di certo bisogno di presentazione: archistar a livello internazionale, è uno dei teorici più influenti in merito all’architettura che popola la nostra contemporaneità.
In pieno Salone del mobile le suggestioni al centro del suo saggio più conosciuto, quel Delirious New York pubblicato nel 1978 in grado di offrire una panoramica (invero più attuale che mai) sulla città che non dorme mai in relazione alla sua irrefrenabile avanzata urbanistica.
Le immagini e le idee di Koolhaas e del suo autorevole, generativo manifesto rivivono in Italia grazie a una edizione teatrale ormai di culto della compagnia Office for a Human Theatre, guidata dal regista (e attore, e architetto, e dramaturg…) Filippo Andreatta.
La visione di Andreatta, che divide la scena con Fiora Basi, Patric Schott e Sara Rosa Losilla, individua come punto di partenza il medesimo elemento che, titanico, presidia il testo originario: l’illuminatissima, scombinata metropoli, nelle sue combinatorie declinazioni architettoniche, va scrutata a cominciare dalle dinamiche psicologiche che ne venano lo spirito. Confidenze troppo intime – e dalle molteplici diramazioni – in grado di disperdere energia, stimolare creatività, diffondere il germe della paranoia. Il risultato di una tale congerie emotiva è un’incomunicabilità che si trascina nelle strade, nelle case… nei palazzi.
Una mancanza di coerenza emotiva, quella raccontata nello spettacolo – che nasce come workshop itinerante nei primi Duemila e diventa opera completa nel 2009 – e tutelata dalle idee di Koolhaas. Un’assenza di articolazione del sentimento che mette in scena quattro storie cristallizzate da lingue, anime e storie differenti le une dalle altre, assetate di intrecci ma incapaci di stabilire ponti umani e saldi. Da qui, il delirio: una follia caleidoscopica di lampi e movimenti, un puzzle dai tasselli estremi, una festa mobile di amore e cemento. In mezzo, una fiera delle umanità dalla portata non indifferente.
In a laughing mirror-image of the seriousness with which the rest of the world is obsessed with Progress, Coney Island attacks the problem of Pleasure, often with the same technological means.
(Rem Koolhaas, Delirious New York)
Questi ingredienti si rimescolano nella messa in scena di Oht, che muove i suoi personaggi in un multi-strato di ironia e psicodramma, alla ricerca di un’identità che non si rintraccia con semplicità d’intenti. Chi vive a New York nel corso della sua esecuzione storicistica è testimone di un mito che si compone, giorno dopo giorno, di sublime e di monnezza: lo spettacolo la trancia lungo il perimetro scandito da quattro scatoloni vuoti rappresentativi del loro disagio, della Babele di costumi e moralità contro la quale devono confrontarsi, ostacolo alle relazioni e, al contempo, fortino di orgoglio e carattere.
Questa è la cornice dalla quale prendono vita i momenti performativi del lavoro di OHT; lo spettacolo ritorna in Italia seguendo una triangolazione singolare, allestito nelle città industriali per eccellenza del Belpaese. Si parte dalla Liguria (Fondazione Luzzati Teatro della Tosse di Genova, dal 15 al 17 aprile), si continua con la nostra Milano (al CRT in Triennale il 20 e il 21 aprile) e si chiude a Torino il 22 e il 23 di aprile, al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea.
In collaborazione con Abitare.it
Delirious New York, di OHT e ispirato al saggio di Rem Koolhaas, al CRT il 20 e il 21 aprile