L’esordiente regista spagnolo Dani De La Torre firma un thriller adrenalinico e senza pause che sa però anche evocare gli incubi dell’Europa impoverita d’oggi. E l’ottimo Luis Tosar, attore feticcio del cinema iberico, fa un direttore di banca il cui felice e agiato mondo crolla in un istante
Carlos, protagonista di Desconocido di Dani De La Torre, è un direttore di banca, ha una bella casa, una moglie affascinante, due figli perfetti persino nelle loro adolescenziali imperfezioni: insomma, una famiglia felice. O almeno così sembra. Esce una mattina, si mette al volante del suo bel suv tutto lustro e la vita sembra sorridergli. Nemmeno un’ombra, una nuvola in cielo. Tutto promette agi e sicurezza. Ma in pochi minuti lo scenario cambia in modo radicale. Squilla il telefono, e sul display appare un numero sconosciuto. Da quel momento una voce ignota comincia a scandire regole e dettare condizioni: non lasciare i tuoi figli a scuola, non aprire le portiere, non cercare di scendere dall’auto e non chiamare la polizia.
Soprattutto, non ti fermare. Continua a muoverti. Perché sotto ogni sedile della tua auto c’è una bomba pronta a esplodere. Se ti fermi, se non ubbidisci, se non trovi nel giro di pochi minuti tutti i soldi che il ricattatore ti sta chiedendo (i tuoi risparmi, ma anche un bel gruzzolo da sottrarre alle casse della banca) della tua vita felice non rimarrà più nulla. Nemmeno un brandello.
Un incubo ad alto tasso di adrenalina che fa subito venire in mente Speed. Erano gli anni Novanta, e Keanu Reeves, insieme a Sandra Bullock, correva a perdifiato su un autobus nel tentativo di salvarsi da un bombarolo psicopatico. Il meccanismo thriller è lo stesso, e potremmo sintetizzarlo nella frase: chi si ferma è perduto. L’inevitabile conseguenza è un ritmo indiavolato che contraddistingue gran parte del film e trascina lo spettatore senza lasciargli un attimo di respiro.
Man mano che segreti e bugie, sia famigliari che professionali, vengono a galla, la trama si fa più intricata e la sceneggiatura a tratti mostra qualche smagliatura, più di un momento di incertezza. Ma la regia di Dani de La Torre, sceneggiatore spagnolo al suo esordio nel lungometraggio, si mantiene concisa, impeccabile, priva di sbavature, interamente al servizio di un’idea di cinema senza dubbio molto americana, ma che talvolta anche in Europa si riesce con successo a realizzare: vertiginosa, frenetica, giocata più sul concitato ritmo dell’azione che sul desiderio di fermarsi a riflettere. E se non può contare sul dispiegarsi di un perfetto meccanismo a orologeria, questo thriller spagnolo ha dalla sua anche la capacità di intercettare sentimenti e disperazioni, rabbie e furori molto diffusi in questa Europa piegata dalla crisi economica e impoverita dallo strapotere dei governi centrali e delle banche.
E nel personaggio principale, mirabilmente tratteggiato da Luis Tosar (attore feticcio di tanto cinema spagnolo) è facile vedere riflesso, come in uno specchio scuro – eppure terribilmente nitido – tutte le contraddizioni di un sistema economico malato dove alle vittime e ai carnefici può capitare di scambiarsi i ruoli.