Tra Bulgakov, Sangati e Massini… una storia che oggi trova una rilettura scenica che indaga sull’umana capacità di ingabbiare – o fagocitare – i propri desideri
In Cuore di Cane di Giorgio Sangati, per la riscrittura di Stefano Massini, tutto ha inizio con uno specchio. Lo specchio in cui Professor Preobražénskij (Sandro Lombardi) misconosce il suo volto, il volto di uno scienziato destinato come ogni uomo alla vecchiaia e alla decadenza. Per riempire il vuoto dell’inesistenza, decide quindi assieme al fidato assistente Bormentàl (Giovanni Franzoni) di asportare un’ipofisi umana in un vecchio cane randagio (Paolo Pierobon), così da scoprire la chiave dell’eterna giovinezza.
Subito il cane inizia a trasformarsi: imita, osserva e apprende proprio come un essere umano, e da semplici e piccoli gesti sviluppa un proprio linguaggio che fa venire ai due l’idea di acculturarlo per renderlo un fenomeno da esposizione. Ma nell’addestramento quasi pavloviano sottoposto alla all’animale, avrà origine l’inizio del fallimento del progetto di Preobražénskij.
Nel trauma pedagogico del linguaggio imposto al cane, si svelano infatti le contraddizioni, le modalità di apprendimento, le relazioni e quei diritti che consideriamo come propri dell’essere umano; tant’è che grazie alla sua intelligenza “artificiale”, “Pallino” prende gradualmente coscienza della sua sudditanza trasformandosi a poco a poco da servo sottomesso in uno scaltro oratore, rivoluzionario e antiborghese, partecipe dei diritti di un’umanità non più revocabile
Pallino, o meglio, il cittadino Pallinov come si autodefinirà il protagonista, è il prodotto di una ricerca in cui la scienza fa il ruolo di una ragione “padrona” e superegoica, che vorrebbe porsi ordinatrice e risolutrice del mistero naturale dell’esistenza.
Quella di Preobražénskij è dunque l’operazione di un individuo che si crede artefice di sé stesso, in grado di costruire un “uomo nuovo” ma ingabbiando bisogni e desideri più profondi, barattando verità oggettive a valori, ideologie e comportamenti civilmente necessari quanto costrittivi e manipolatori.
Da una parte fallisce una borghesia che sacrifica giustizia e coerenza in nome della gerarchia dello status quo.
Dall’altra il “cittadino-cane” Pallinov, interpretato magistralmente da Paolo Pierobon, passa da un’afasia iniziale alle rabbiose argomentazioni di un compagno marxista, capace di muoversi acutamente in quelle contraddizioni linguistiche e culturali che operano su ciascuno di noi fin dalla prima infanzia.
Nell’epoca in cui scrisse il romanzo, Bulgakov non era convinto che la rivoluzione fosse davvero una soluzione, né che forzare la natura dell’uomo, potesse portarlo ad un grado di elevazione maggiore, sosteneva invece la naturalità delle teorie evoluzioniste.
Lo spettacolo di Sangati può quindi farci riflettere su alcune dinamiche a cui può essere sottoposta la società contemporanea, pervasa da sistemi complessi, tecnologie e intelligenze artificiali, in cui lo spazio della costruzione razionale e culturale potrebbe originare situazioni oppressive di natura psicologica e pedagogica, ancorché economica.
La domanda che sorge spontanea è: siamo ancora in grado di ascoltare quel “cuore di cane” che chiede di riconoscere ineguaglianze, bisogni profondi, onestà e dignità sociale? Si è in grado di fare della scienza e della cultura uno strumento di crescita o si è schiavi di iperrazionalità e istinto? Quanto spesso si soccombe al peso di sovrastrutture che ingabbiano i propri desideri?
Sangati e Massini propongono una lettura a vari livelli in cui l’attenzione appare orientata sul testo e sulle dinamiche che intercorrono fra i personaggi, che seppure rielaborate per la messa in scena, permettono di orientare lo spettatore nel panorama poetico del criticato e controverso autore russo.
Al Piccolo Teatro Grassi fino al 10 marzo 2019