Un viaggio nell’universo dei mattatoi, dell’industria della carne e dei problemi etici che pone attraverso i libri di Ana Paula Maia, Merritt Tierce, Ruth L. Ozeki e Jonathan Safran Foer
Esistono luoghi che l’industria della carne tiene nascosti. Non sappiamo in quali parti delle nostre città si trovino, la televisione ne parla assai di rado ed essi sono, ovviamente, banditi dalle pubblicità dei prodotti che trovano posto sui banchi dei supermercati. Sono i mattatoi, nei quali di rado occhi esterni possono entrare, al punto che i filmati registrati di nascosto da attivisti e inquirenti sono entrati nell’immaginario comune delle persone. C’è voluto un romanzo per portarci là dentro, dove il processo di uccisione, smembramento e lavorazione di animali vivi permette la produzione industriale di carne e altri derivati. Il lavoro in questione, Di uomini e bestie, è arrivato in Italia grazie a La Nuova Frontiera, casa editrice romana specializzata in lingua spagnola e portoghese. L’autrice è Ana Paula Maia, scrittrice brasiliana alla prima traduzione italiana (a cura di Marika Marianello).
Il romanzo ha il pregio di non tematizzare affatto gli argomenti legati in modo imprescindibile al mattatoio, luogo in cui si svolge l’intera vicenda. Non si parla di diritti animali, né di dieta, non si accenna al miglioramento delle condizioni delle bestie costrette a imboccare la via della macellazione. Tutti i temi, di fatto, emergono dalla storia in sé, dalle contraddizioni interne e dalle palesi sofferenze (umane e bestiali, o forse sarebbe meglio dire, in generale, animali) presentate da un mondo che dà per scontata e naturale l’uccisione di centinaia di animali ogni giorno. L’occultamento di alcune verità, così come l’alone di mistero che circonda lo scenario del romanzo, emerge in molteplici situazioni, offrendo al lettore un contrasto notevole con il mood che contraddistingue personaggi e situazioni narrati. Ana Paula Maia ama, infatti, raccontare le disavventure di emarginati brutali e stravaganti, come accade nei tre titoli che compongono la “Saga dei bruti”, romanzi che strizzano l’occhio al pulp di Quentin Tarantino e ne rielaborano i tratti distintivi in salsa sud-americana, di cui Di uomini e bestie è una naturale prosecuzione.
Ecco dunque Edgar Wilson, protagonista e storditore; Helmuth lo smembratore; il signor Milo, proprietario del mattatoio; Bronco Gil, caposquadra e cacciatore: si autodefiniscono “uomini delle bestie”, perché il mattatoio è la loro casa, la loro vita e la loro unica realtà. Il vicino impianto di produzione di hamburger, dove è trasportata la carne lavorata, è un altro mondo rispetto all’attivissimo macello in cui loro lavorano, tanto che non vi si recano mai. Persino la morte, con cui hanno a che fare ogni giorno, è venuta a patti con loro: li accompagna quotidianamente e, quando tocca uno di loro, nessuno dei sopravvissuti si preoccupa più del dovuto. Soltanto alcuni avvenimenti di natura misteriosa turberanno il monotono scorrere dei giorni e degli abbattimenti. Anche se l’impressione finale è che nulla possa turbare la catena degli eventi perché, come dice un vecchio nelle ultime pagine a un Edgar Wilson in partenza verso un altro mattatoio, «finchè ci sarà una vacca in questo mondo, ci sarà sempre qualcuno disposto ad ammazzarla».
Di uomini e bestie solleva domande alle quali non fornisce risposta. Il lavoro dei personaggi è monotono, ripetitivo e pericoloso. Sembra quasi che lo sfruttamento animale, cadenzato da ritmi di produzione da capogiro, condizioni le vite di chi ci lavora a ogni livello della filiera. Le vite di Edgar Wilson e compagni, permeate dalla violenza e dallo stordimento, ricordano quelle di Marie Young e colleghe, protagoniste dell’angosciante opera prima dell’autrice texana Merritt Tierce (BigSUR), Carne Viva. In entrambi i romanzi, il lavoro svolto in concomitanza col cibo – vivo, morto o cucinato che sia – corrode l’esistenza e dilania la carne nel profondo. Pagine che sembrano dire: una volta dentro, è impossibile uscirne. Così come centinaia di animali ogni giorno finiscono davanti alla mazzetta precisa e misericordiosa di Edgar Wilson, allo stesso modo questi personaggi non hanno via d’uscita, a meno che non si abbandonino a raptus di follia diretti contro il prossimo o contro la propria carne. Perché, come ci insegna Carne, romanzo di Ruth L. Ozeki (pubblicato qualche anno fa da Einaudi), una storia che riguarda lo smembramento dei corpi e l’industria che lo sostiene non può prescindere da un ragionamento sulla nostra stessa corporeità, anch’essa di natura animale.
Il lettore che entra nel mattatoio di Milo ne rimane affascinato e disgustato al tempo stesso, come gli alunni che nel romanzo fanno visita alla struttura. Alcuni di essi stanno male, altri non vogliono vedere, altri ancora s’infuriano e chiedono spiegazioni. Alla domanda «Lei si considera un assassino?», Edgar Wilson risponde con un placido e veritiero «Sì». Non può mentire: nonostante la sua unica preoccupazione sia di risparmiare le sofferenze agli animali, egli è assassino di bestie e assassino di uomini. E nel momento in cui, davanti ai volti disgustati degli studenti, propone di cedere il posto di storditore affinché essi provino che cosa significa abbattere una vacca per ottenere un hamburger succulento, pone implicitamente la stessa domanda che Jonathan Safran Foer formula in Se Niente Importa (Guanda): «Che si parli di pesci, maiali o altri animali, questa sofferenza è la cosa più importante del mondo? Ovviamente no. Ma non è questo il punto. È più importante del sushi, del bacon o delle crocchette di pollo? Questo è il punto».