Stati Uniti, Italia e gli interrogativi, nati dalla cronaca, su una generazione che ci appare determinata a cercare il piacere immediato, senza curarsi delle conseguenze. E’ proprio così o è sempre stato così? E gli adulti che responsabilità portano?E quali ricette funzionano, detto che non sono certo quelle repressive che tanto vanno di moda? Domande serie e anche un po’ spaventate
È successo dieci giorni fa, dietro a casa mia. Un ragazzino di diciassette anni, compagno di classe di mia figlia, era su una moto guidata da un suo amico di un anno più di lui che non si è fermato a uno stop. È bastata un’auto che arrivava proprio in quel momento, una persona che quasi sicuramente stava andando a fare la spesa al supermercato lì vicino. L’impatto è stato veloce e mortale. Il diciottenne, che aveva il casco, si è sbucciato un ginocchio. Il compagno di mia figlia, senza casco, è morto qualche giorno dopo in ospedale. Figlio unico. Quando passo quell’incrocio e vedo il nero della frenata, mi immagino che forse il ragazzino stava tornando a casa a piedi e ha incontrato il suo amico con la moto: “Dai, salta su che ti porto io. Non ho un altro casco, ma tanto siamo a due passi…”.
Penso anche alle volte che noi da ragazzini abbiamo preso decisioni così, senza neanche pensarci e ci è andata bene. Quante volte ci è capitato di essere vicini alla tragedia che in qualche modo non è successa. Ricordo un fidanzato con una moto grossa e senza casco, che mi portava in giro per Milano andando come un pazzo. Non ricordo invece di avergli mai detto di andare adagio, di non fare il coglione.
Penso anche a mia figlia Emma, diciassette anni a dicembre, che la settimana prossima prende la patente di guida. Proprio come nei film americani, ha fatto scuola guida al liceo, e a noi è stato dato il compito di metterla dietro la guida della nostra macchina e insegnarle ad usare una tonnellata di ferro e benzina facendo del suo meglio per non ammazzarsi o non ammazzare altri. È bravina, ma l’altro giorno, per esempio, mi stava accompagnando ad un negozio lontano da casa. Musica a manetta, guidava con una mano, scomposta e sicura di sé. Le ho fatto notare che se guida così con il foglio rosa, con sette ore di guida in vita sua, allora le vieto categoricamente di fare l’esame per la patente: è un rischio per lei e per gli altri. “Basta poco, Emma: un nano secondo di disattenzione”. Ma come tutti i ragazzi della sua età, si sente invincibile, l’idea della morte è troppo distante da lei per metterla in conto. È così che succede.
Da Boston leggo i giornali italiani tutte le mattine, davanti a un caffè Lavazza. È come leggere un bollettino di guerra tra ragazzini: gli stupri sono all’ordine del giorno, sparatorie, violenze di ogni tipo, denunce di insegnanti, suicidi per sbaglio su TikTok. I giornali statunitensi, uguale: bambini con le pistole, gang violente, ragazzini perduti in questo mondo ormai fuori controllo. A volte, lo ammetto, chiudo il computer o piuttosto mi faccio un solitario, che tra l’altro mi viene quasi sempre.
Ma da genitore, da inquilina di questa società, la domanda mi viene spontanea: cosa abbiamo fatto per creare una generazione così violenta, così apparentemente dipendente da adrenalina, ignara delle conseguenze. Forse sono vecchia e non penso che quando eravamo giovani noi era eguale. Ma no, perché quando ero giovane, prendevo anch’io decisioni sbagliate, che avrebbero potuto costarmi la vita. Eppure, mi sembra di cogliere una differenza sostanziale rispetto alla mia generazione: l’immediatezza del piacere ad ogni costo. Come se fosse tutto perdonato perché sono ragazzini. Abbiamo certamente delle responsabilità, e forse prima di scandalizzarci dovremmo farci un bell’esame di coscienza.
La politica meloniana, di visione repressiva, propone carcere e ripercussioni assolutamente fuori luogo. Non credo che un sedicenne che ha fatto casino con la giustizia possa essere “riformato” dal carcere, che infatti ha livelli di recidività allarmanti. La politica americana, invece, non imposta il sistema carcerario sul recupero dell’individuo, ma sulla punizione, sia per i ragazzi che per gli adulti. Ad ora, più di diecimila minori dormono in cella.
Ovviamente, il gap tra le classi sociali, l’instabilità economica, il posto in cui si è nati e il colore della pelle sono aspetti determinanti, ma è anche vero che molti figli di personaggi famosi (soprattutto politici, soprattutto di destra) si trovano infognati anche loro in stupri di gruppo e intimidazioni a chi osa parlare. Sono i privilegiati, quelli che hanno i soldi e il potere di fare (quasi) quello che vogliono, tanto c’è papi che risolve tutto. I viziati. Ma è significativo che anche chi ha frequentato certe scuole, certi ambienti abbia la stessa brama di violentare una ragazzina, che, a detta loro, se l’è cercata.
Mi sembra di capire che sia difficile a quell’età, fermarsi un secondo prima e pensare a quello che si sta facendo. Come se l’immediatezza, più che la ragione, fosse l’unica strada da seguire. Da mamma, ammetto di essere piena di sensi di colpe e anche terrorizzata: insegno alle mie figlie di uscire vestite come vogliono, di truccarsi, di non limitare la loro voglia di essere quello che sono. Insegno loro anche a dire di no, a far capire che no è no. Insomma, faccio quello che ritengo più giusto. Ma poi, quando alle dieci di sera sono ancora fuori, mi prendono gli attacchi d’ansia, vengo assalita da mille dubbi. Se abbiamo la coscienza a posto di aver fatto il possibile per crescere i nostri figli al meglio, lasciarli partecipare alla vita fuori casa è l’atto più allarmante e anche più importante che possiamo fare.
E comunque, domani mattina, prima di leggere le notizie, mi faccio un bel solitario e una camomilla.
In apertura, foto di Chandler Cruttenden su Unsplash