Oggi Meloni, e il pensiero non può che andare alla vittoria di Trump e all’incredulità che l’aveva accompagnata. Come mai? Come mai non abbiamo capito cosa stava accadendo qui e lì nella società? La risposta sta in un sola parola e non ci piace pronunciarla: privilegio
Ricevo un messaggio da mio cugino Fabio. Manda l’immagine della Meloni che tiene in mano due meloni come se fossero i suoi seni e che dice: “25 settembre, ho detto tutto” e poi fa l’occhiolino agli italiani. “Ma si può perdere contro una così? Vergogniamoci!”, commenta Fabio.
Non rispondo neanche, non c’è bisogno. Ho vissuto il dolore di una sconfitta così devastante nell’autunno statunitense del 2016 e comprendo a pieno l’incredulità e la sofferenza che prova Fabio. Comprendo anche il fatto che ci si senta tutti responsabili, ma del senno di poi sono piene le fosse. È prima che bisogna agire, perché reagire lascia il tempo che trova.
Il fatto che mi ha stupito di più della vittoria di Trump, ricordo, non fu il fatto che un miliardario viziato, ignorante e senza nessuna delle qualità che servono per essere al comando del Paese più potente del mondo si fosse candidato, ma il fatto che il cinquanta percento degli americani fosse così disilluso dal governo di Washington da scegliere Trump piuttosto che una persona ben preparata per fare la presidente, seppur con proposte politiche poco accattivanti per tutti. Mi stupii anche del mio stupore, tanto fu lo sgomento. Ricordo di aver sentito il tonfo del mio corpo cadere dal pero. Come ho potuto essere così cieca, così lontana da contesti tanto diversi dal mio? Mi sono data una risposta e non mi è piaciuta per niente: privilegio.
Vivo in una città, Cambridge (quella americana, non inglese) in cui chi osa mettere fuori di casa un cartello pro-Trump viene trattato come la persona più bieca ed ignorante sulla faccia della Terra. Sono cose di cui si parla con schifo al parco dei cani, dove vado la mattina per portare i miei a correre. Nella mia città non è ammessa una divergenza politica, mai. Chi la pensa diversamente viene etichettato come ignorante dalla comunità che è, generalmente, abbiente e quasi sempre bianca o beige o comunque rispettata. Gli affitti e i costi delle case di Cambridge ci hanno segregato, siamo in una bolla privilegiata ben lontana dalla vita normale, quella di chi fatica ad arrivare a fine mese, perché noi, che invece di essere ignoranti ci sentiamo tanto intellettuali, ci convinciamo di essere noi i cittadini medi. Siamo tutti orgogliosamente liberal, plurilaureati, proprietari di case da sei milioni di dollari, però attenti: il cane non può essere di razza, perché ci si sente la coscienza a posto solo quando se ne salva uno dal canile. Siamo felicemente e consapevolmente ignari di quello che succede nella maggior parte del Paese. La mattina, mentre sorseggiamo un caffè biologico con latte altrettanto puro, leggiamo il New York Times, il Washington Post e il New Yorker . La sera, dopo una cenetta a lume di candela, ci sediamo davanti alla televisione per ascoltare il telegiornale della CNN e della NMBSC che ci mostra con un certo ribrezzo le persone, quelle là, che votano a destra, che sono povere, ignoranti e a volte un po’ puzzolenti. Solo dopo le elezioni, quando vince Trump, capiamo che si tratta di persone che fino ad ora sono state per noi trasparenti, inesistenti. Noi al parco dei cani e loro lontani da noi, a covare per generazioni rabbia, violenza, contro il governo che si rifiuta di rappresentarli: i politici, che tanto parlano, ma poco agiscono per diminuire il gap economico e sociale del Paese. Tutto questo è un perfetto fertilizzante per crescere un “politico” come Trump, che, da manipolatore e mascalzone, fa leva sulla paura nei confronti degli immigrati per ricevere dei voti, e voila, tutto d’un tratto milioni di persone si sentono finalmente rappresentate.
Anche in Italia, come in molti altri Paesi europei quali la Svezia e l’Ungheria, cominciano a venire a galla personcine del genere, come per esempio Giorgia Meloni, che riescono a sfruttare lo stesso linguaggio di chi è stato sempre marginalizzato per disintegrare la sinistra. Promettono miracoli, posti di lavoro, case, supporti statali, abolizione dell’aborto e divieto a chi scappa da guerre e vite terribili di potersi salvare sulle rive italiane. Perché NOI siamo italiani, e i nostri diritti non abbiamo piacere di condividerli. Anche sottovoce, ma ammettiamolo: da anni abbiamo il prosciutto sugli occhi e il Philadelphia nelle orecchie. Mentre noi aspettiamo che arrivi la nostra nuova auto elettrica, i movimenti popolari, che ai nostri tempi erano di sinistra, adesso sono di (estrema) destra. Non siamo riusciti, diciamocelo, a trovare un’alternativa al discorso filo-fascista in voga ormai da anni.
Mi sono chiesta il motivo di tutto questo: cosa ci è successo? Poi noto che, mentre la sinistra mantiene un’ideologia rivolta all’altro senza però proporre soluzioni pratiche, la destra ha un programma preciso: eliminare gli immigrati, sia in Italia sia negli Stati Uniti, per fare in modo che gli italiani (o gli statunitensi) possano usufruire loro e non gli altri, dei servizi sociali, siano essi case popolari, supporti sanitari, economici e altro. Lo fanno in modo intelligente, schifoso, ma intelligente: sfruttano la paura che si ha del diverso, dell’emarginato, del gay, della donna che vuole scegliere cosa fare di una gravidanza e vincono grazie al linguaggio semplice, pratico, preciso per chi ascolta. Così vincono: con proposte terribili, ma tangibili. Mentre noi siamo ancora lì a decidere quali fiori mettere nelle aiuole del centro (di Milano o di New York), a poco a poco spariamo dalla scena politica. Ma siamo tutti coinvolti. Tutti. Così il Maestro Fabrizio de André, che come sempre aveva capito l’essere umano ben prima di noi, descriveva l’ideologia della destra contemporanea. Spero che noi riusciremo ad andare presto alle loro porte.
E se credente ora
Che tutto sia come prima
Perché avete votato ancora
La sicurezza, la disciplina
Convinti di allontanare
La paura di cambiare
Verremo ancora alle vostre porte
E grideremo ancora più forte
Per quanto voi vi crediate assolti
Siete per sempre coinvolti
In apertura, foto di Ava W. Burton/ unsplash