Le leggi contro l’odio e la discriminazione migliorano il modo di convivere e rendono migliore la società. E con la famiglia che mi ritrovo, scrive Marina Viola, le sento ancora più mie, le sento sulla pelle e su quella dei miei figli
Metti di essere in un bar, magari in Messico, o in California, in Albania o a Marrakech. Il locale è pieno, anche di brutti ceffi. Per sbaglio, schiacci il piede a uno, lui ti dice what the fuck, tu glielo schiacci ancora, guardandolo fisso negli occhi. Inizia la rissa, tutti cominciano a darle di santa ragione, e chi becchi becchi. Che tu sia gay, disabile, non bianco non importa. Sei lì, ti metti anche tu a menare. Alla fine, un disabile, un nero, un gay si fanno male. Ma non per il loro essere chi sono. Si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Metti invece di essere alle superiori, e un tuo compagno è nero, disabile o sembra gay. Tu e i tuoi amici lo prendete sempre in giro: a ginnastica, durante l’intervallo, in cortile. Quando alla mattina lo incontri che va a scuola, non perdi occasione di dirgli una cattiveria. Un giorno ti decidi. Lo aspetti con due o tre amici fuori e gli dai una fracassata di botte.
Questi due scenari sono molto differenti tra loro: nel primo è violenza e basta, nel secondo è violenza, odio, discriminazione. Se il compagno non fosse disabile, nero o gay lo avresti molto probabilmente lasciato stare. Ma gli handicappati di merda, i negri che ci rubano il lavoro, i culattoni che ti fanno schifo non scappano dalle grinfie di chi è intollerante. Dal punto di vista giuridico, dunque, si potrà condannare i due casi nello stesso modo? Il parlamento italiano dice implicitamente di sì, che tra i due scenari non c’è nessuna differenza.
Il ddl Zan non è stato approvato: ecco un altro motivo per rimanere negli Stati Uniti, dove le leggi contro l’odio e la discriminazione sono tante e anche sacrosante (scusate la rima). Sono leggi che migliorano il modo di convivere, che rendono migliore la società. Ma sono anche leggi che nel mio piccolo, con la famiglia che mi ritrovo, sento ancora più mie, le sento sulla pelle e su quella dei miei figli. Se qualcuno picchia Luca, autistico, si becca anche l’aggravante per odio nei suoi confronti. Se Sofia, dichiarata gender fluid, viene bullizzata, discriminata, trattata male, anche questa volta possiamo contare sull’aggravante.
Sono anni che combatto per il diritto di tutti noi di essere accettati per come siamo, per fare in modo che la dignità sia garantita non solo a qualcuno, ma a tutti. In particolare, con il mio grande amico Gianluca Nicoletti, combatto a spada tratta tutto quello che una diagnosi come l’autismo porta con sé: discriminazioni, solitudini, carenza di servizi, ricerca di spazi pubblici per creare centri, ma soprattutto per fare in modo che la disabilità possa beneficiare con il resto della società di diritti che sono dovuti. E invece mi sembra che questa povera Italia abbia fatto un bel passo indietro: l’aggravante non è contemplata. È una delle conferme del fatto che vive bene solo chi è bianco, maschio, eterosessuale, normodotato e cattolico. Per tutti gli altri bisogna ancora aspettare.
Quando condivido la mia esperienza di mamma di Luca sono tutti commossi, empatici verso mio figlio e le persone come lui. Tutti sono d’accordo con quello che io, Gianluca e molti genitori chiediamo: di essere rispettati esattamente come qualcuno che non è nato con un cromosoma in più, o un cervello autistico. Il fatto che trovo strabiliante, infatti, è che dal punto di vista teorico, leggi come il ddl Zan sembrano quasi ovvie. Nessuno può negare che serva uno strumento per salvaguardare chi ne ha più bisogno.
È ovvio che se dei ragazzi picchiano una persona perché disabile lo fanno solo perché, appunto, è disabile: lo fanno per fare i bulli, quelli che si sentono forti di fronte a una persona debole.
È ovvio che chi picchia una coppia omosessuale perché si bacia in pubblico la picchia proprio per quello.
È ovvio che quando un ragazzino di origine africana viene ammazzato da un gruppo di fascistelli è perché è nero.
È ovvio che una donna, quando viene picchiata e ammazzata da un uomo, è perché è donna.
E quindi, di cosa stiamo parlando? Come si può giustificare un rifiuto da parte del parlamento di valori che sono ovvi, legati alla natura umana? Manco ci dovrebbero essere, queste leggi. Dovrebbe essere assolutamente normale che chi discrimina, picchia, bullizza, ammazza chi è diverso debba essere riconosciuto per quello che è: un violento, ma anche omofobo, razzista, ignorante.
Negli Stati Uniti, paese con mille contraddizioni, con mille problemi, bigotto, violento, razzista, la discriminazione è considerata un’aggravante. Sul sito del Dipartimento di Giustizia americano si legge: “Il Dipartimento di Giustizia fa valere i crimini federali dell’odio che coprono certi crimini commessi sulla base della razza, del colore, della religione, dell’origine della nazione, di orientamento sessuale, di genere, di identità di genere, e di disabilità. Il DOJ ha cominciato a perseguire casi di crimini dell’odio dopo l’emanazione dei Diritti Civili del 1968.” Dal 1968! E noi siamo ancora qui a discutere se far diventre legge il ddl Zan o no.
Non si scherza su queste cose, negli Stati Uniti. Durante un colloquio di lavoro, per esempio, molte domande non si possono fare: non si può chiedere l’età di una persona, non si può far intendere che una donna giovane non va bene perché potrebbe rimanere incinta, non si può alludere al colore della pelle, all’affiliazione religiosa o alla preferenza sessuale. Non si può perché qui è facilissimo riportare alle autorità un comportamento simile, perché ci sono le leggi che proteggono i più deboli.
Capita in America che la gente venga discriminata? Certo che capita. Capita sempre. È interessante, per esempio, guardare questo grafico che spiega quanti crimini di odio sono stati commessi nel 2020 e le categorie che ne sono state vittime.
Anche chi non vive negli Stati Uniti sa benissimo che questa è una nazione violenta. Ma è proprio per questo che le leggi come il ddl Zan sono necessarie: i crimini di odio devono essere riconosciuti come tali, perseguiti e condannati ed è per questo che credo che l’Italia, paese che amo, abbia ancora tanta, tantissima strada da fare.
La cosa mi rende molto triste.
In apertura, foto Creative Exchange/Unsplash