Lo sapevamo. Sapevamo che l’avrebbe scampata anche questa volta. Eppure. Cronaca di un mancato impeachment, quello di Donald Trump, e delle preoccupazioni che il suo restare in scena suscita
Si sapeva che il Senato non avrebbe votato in favore dell’impeachment a Trump. Si sapeva come lo si sapeva la volta prima. Per chi non è molto esperto, quando un presidente americano la fa fuori dal vaso, succede questo: l’impeachment viene discusso e votato tra i 445 membri della Camera. Se vince la maggioranza, il presidente in carica è, come dire, impicciato. Poi il Senato, che ha 100 senatori (due per Stato) inizia una specie di processo per decidere se il presidente deve essere cacciato dalla Casa Bianca o no. Un altro particolare, per completare il quadro dei fatti: l’impeachment è uno strumento di difesa dai presidenti corrotti o malintenzionati usato in casi estremi, tanto che finora, nella storia degli Stati Uniti, è successo solo quattro volte: due a Trump. Quindi, Trump, che dica di aver vinto o no, ha ben due impeachment sulle spalle. Guinness dei primati assoluto.
Si sapeva che il Senato non avrebbe raggiunto abbastanza voti per vietare al tycoon di essere rieletto in futuro (obiettivo di questo impeachment, visto che il suo mandato è finito): ci vogliono due terzi dei voti perché questo accada, e i senatori repubblicani non osano mettersi contro Trump per paura di perdere le elezioni al Senato che ci saranno tra un annetto. Sanno benissimo che sarebbe un suicidio politico. Questa omertà e paura delle conseguenze puzzano molto di mafia, secondo me. Il danno più grosso fatto da quattro anni di delirio è proprio questa divisione netta tra i democratici e i repubblicani, molti dei quali hanno deciso di radicalizzarsi per godere di un po’ del potere di Trump. D’altronde, non solo voltare le spalle al loro idolo perderebbero l’enorme numero dei simpatizzanti, ma temono anche che nasca un nuovo partito di estrema destra, che dimezzerebbe i voti allo storico GOP (Grand Old Party, ndr).
Detto ciò, il risultato, già prevedibile dall’inizio, del lungo iter è che la giustizia, l’etica, la ‘cosa giusta da fare’ non è neanche stata presa in considerazione dai repubblicani. Hanno valutato la situazione e sono arrivati alla conclusione che fosse più importante stare buoni buoni e votare in favore di Trump ,vincere le elezioni al Senato piuttosto che passare alla storia come i politici che hanno bloccato chi non è in grado di governare e che può organizzare e appoggiare atti orrendi e impensabili come quello che è accaduto il sei gennaio in Campidoglio.
Ho seguito tutte le discussioni fatte durante il processo in Senato con la stessa passione di quando seguivo Fame da ragazza. Ho urlato alla televisione le mie frustrazioni nei confronti degli avvocati difensori di Trump, che dicevano palesemente cose assurde, del tipo che Trump è sempre stato contro la violenza, che anche le manifestazioni dei Black Lives Matter sono state distruttive e pericolose, che il loro cliente ha fatto di tutto per frenare chi ha occupato il Campidoglio. Punti che si possono facilmente distruggere con le immagini di quel giorno. In fondo avrebbero potuto raccontare qualsiasi cosa, anche la trama di Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo, che comunque avrebbero vinto loro. L’altra parte, invece, ha dimostrato, con fatti e prove incontestabili, che il presidente ha incitato, aiutato a organizzare, ha ritardato di ore l’intervento massiccio della polizia per frenare l’inizio di quello che sembrava una guerra civile o un colpo di Stato. D’altronde, le immagini del sei gennaio, i tweet di Trump ordinati in modo cronologico, da quando, addirittura prima delle elezioni aveva messo in testa ai suoi seguaci che se avesse perso significava che ci sarebbero stati dei brogli elettorali, parlano da soli.
Trump ha torto marcio. Lo sanno tutti, non c’è neanche bisogno di stare a discutere più di tanto. Quando parlavano loro, i senatori che cercavano giustizia, io applaudivo, mi alzavo dalla poltrona e mi avvicinavo allo schermo, continuavo a ripetere “Appunto! Appunto!”. Ammetto senza vergogna di essermi addirittura commossa, con lacrime e tutto, quando uno degli accusatori ha raccontato che malgrado il cinque gennaio ci fosse stato il funerale del suo figlio ventenne, lui il giorno dopo era lì, in Campidoglio, a fare il suo dovere di senatore, nonostante il dolore incommensurabile. Si è invece ritrovato a dover scappare dalla folla arrabbiata che voleva linciare il vicepresidente. Con questo intervento così personale ha voluto ricordare ai suoi colleghi senatori che quando sono stati votati, si sono presi una responsabilità, un obbligo di fare il loro dovere, giurato di essere imparziali. Che ora e solo ora era venuto il momento di mandare un segnale chiaro a Trump e ai futuri presidenti: certi atteggiamenti sono inaccettabili.
Giovedì sera sono dovuta venire in campagna, e invece che dalla televisione, ho seguito la fine del processo ascoltando la radio in macchina: ormai le due parti avevano terminato il loro lavoro e stavano facendo l’ultimo discorso per convincere tutti a votare pro o contro. Dopo di ché è iniziata la votazione. Come dicevo all’inizio, sapevo che i NO avrebbero vinto, ma il mio ottimismo profondo mi ha fatto sperare fino all’ultimo che almeno undici dei senatori repubblicani, il numero necessario, si mettessero una mano sulla coscienza. Invece, ovviamente, non è successo.
Ho spento la radio con una rabbia talmente intensa da stupirmi di me stessa. Non solo perché ancora una volta è stato dimostrato che gli interessi personali vengono messi prima di quelli del Paese, ma anche e soprattutto per quello che questo NO potrebbe significare in futuro.
Trump, ormai è chiaro, è il guru, il santone di una setta enorme: quello che dice viene stampato sulle magliette, viene preso alla lettera; chi non è d’accordo con lui viene sputtanato davanti a tutti, viene minacciato di morte; viene isolato e annientato, distrutto. Adesso che per la seconda volta l’ha scampata, anche se, ripeto, gli impeachment contro di lui ci sono, si sente invincibile, si sente immortale e sa di avere potere su milioni di persone, alcune delle quali sono armate, violente e vittime di lavaggi di cervello costanti e pericolosi. Adesso che per la seconda volta l’ha scampata, Trump è più potente del povero Biden, che ha ereditato centomila problemi da risolvere in quattro anni e che non lo invidia nessuno.
La cosa che mi spaventa di più è proprio il potere quasi assoluto del guru, che fa sì che i politici, in carica per difenderci, lo supportano senza vergognarsi neanche un po’.
Poi oh, in Italia c’è ancora Brunetta, quindi forse tutto il mondo è paese.