Dio Pluto: quando la ricchezza è per tutti

In Teatro

Dio Pluto è uno spettacolo moderno e vivace, con una regia attenta e dinamica, in grado di cogliere le allusioni al presente senza perdere il legame con l’originale commedia greca

Che cosa desiderano sempre e comunque, in ogni epoca e a qualsiasi latitudine, gli uomini? Ovviamente la ricchezza. Da sempre motivo di litigio e aspirazione più o meno discussa, il nucleo della commedia di Aristofane è proprio il denaro: se pensiamo che la prima rappresentazione di Pluto risale al 388 a.C., è incredibile verificare sul palcoscenico come certe attitudini e comportamenti umani rimangano invariati anche a distanza di secoli.

La commedia prende il nome dal dio greco della ricchezza e, quando venne rappresentata ad Atene, Aristofane aveva alle spalle moltissimi anni di satira e altrettante composizioni comiche, e poté scagliarsi con allegra e graffiante ironia contro tutto ciò che rappresentava il potere allora. Jurij Ferrini, regista e attore nel Dio Pluto in scena al Teatro Carcano fino al 25 marzo, conserva il taglio irriverente del grande commediografo e lo riadatta ai nostri giorni: gioco non facile ma, grazie alla sua preparazione e alla bravura degli attori coinvolti, perfettamente riuscito.

Lo spettacolo si apre con una discussione tra l’ateniese Cremilo (Jurij Ferrini) e il suo servo tuttofare Carione (Federico Palumeri): il primo desidera infatti interrogare l’oracolo di Delfi per capire se sia meglio educare il figlio all’onestà e alla limpidezza d’animo, rischiando di preparargli una vita di miserie, oppure impartirgli un’educazione rivolta alla disonestà e al sotterfugio, in modo da garantirgli un futuro agiato, magari in politica.

E qui le risate del pubblico non mancano, probabilmente perché il dilemma, per quanto bizzarro, risulta ancora disgraziatamente attuale.

La risposta dell’oracolo alla domanda di Cremilo è semplice: seguire la prima persona che l’ateniese incontrerà una volta uscito dal tempio. E così il protagonista fa, mettendosi a pedinare uno straccione cieco (Francesco Gargiulo) che, interrogato più volte sulla sua identità, rifiuta di rivelare il suo nome. Dopo le molte insistenze, non solo verbali, di Cremilo e Carione, l’uomo si presenterà come Pluto, dio della ricchezza, cieco e incapace di distinguere un uomo giusto da un impostore.

Tutto è subito chiaro: la diseguale distribuzione della ricchezza non è che una conseguenza della condizione di Pluto, accecato da Dio e costretto a vagare per il mondo senza poter vedere a chi garantisce i suoi favori. Carione si offre subito di guarire il dio e gli propone di sottoporsi alle cure di un medico del luogo idolatrato come un santone, una versione storpiata (non solo nel nome) di Esculapio, dio greco della medicina.

E qui entra in gioco il personaggio chiave della vicenda, Madonna Povertà (Rebecca Rosetti), che con un’arringa feroce difende il ruolo fondamentale giocato proprio dalla povertà nella felicità umana. Non solo, ribadisce la sua netta separazione dalla sorella Miseria e la sua forte convinzione che non sia la ricchezza a garantire il futuro agli uomini ma la capacità di vivere con poco. Carione ride della sua sicurezza e la scaccia con insolenza; subito dopo accompagna Pluto dal santone guaritore e, una volta riacquistata la vista, il dio lo ricompenserà con infinite ricchezze.

La seconda parte dello spettacolo è un rovesciamento ironico della prima: Carione non è più povero e il suo vicino Ficcanappia (Andrea Peron), incuriosito da un tale cambiamento, ne vuole conoscere la ragione. Una volta saputo che in casa di Carione vive il dio della ricchezza, anche Ficcanappia, con un atteggiamento gravato da anni di miseria e di ingiustizie, desidera beneficiare del suo favore.

Così comincia uno strano pellegrinaggio verso la casa del protagonista: arriva un’anziana signora che vuole lamentarsi con Pluto per aver perso le attenzioni (giustamente retribuite) di un giovane bellissimo e ovviamente molto povero che, con la nuova condizione del dio, ha invece conquistato la ricchezza. Giunge a far visita a Pluto anche un faccendaio, meglio conosciuto ad Atene come sicofante (un uomo che denunciava altri dietro adeguato compenso), rimasto senza lavoro e senza la possibilità “di oliare i meccanismi della cosa pubblica” come aveva imparato a fare. Insomma, la situazione è comica, un po’ grottesca e certamente molto moderna.

La parsimonia e la disponibilità di Pluto non tardano a rivelare i loro risvolti disastrosi: i prezzi del pane sono alle stelle, nessuno trova più denaro con cui pagare il cibo, le banche cominciano a entrare in crisi… Tutto sembra procedere verso una strada già conosciuta: una crisi finanziaria, economica e sociale.

Lo spettacolo si conclude con il gruppo dei protagonisti che marcia verso le banche, per assaltarle, distruggerle e ricostruire da zero un ordine più giusto. Così sembra essere sempre nella storia dell’umanità: disfare e riprovare. Così suggerisce Aristofane che, tra un attacco alla tragedia e un altro alla politica, tra commenti scurrili e vivaci allusioni, arriva a confidarci l’impossibilità di un’uguaglianza perfetta.

Ferrini recupera questo dubbio e lo traspone ai giorni nostri, usando lo stesso qualunquismo e gli stessi luoghi comuni con cui dobbiamo fare i conti ogni giorno e sfidandoci a non riderne.

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