“Don’t Worry” mette in immagini con forti prove d’attori (c’è anche un ottimo Jonah Hill) il drammatico libro autobiografico di John Callahan, diventato tetraplegico dopo un incidente stradale seguito a una serata di troppe bevute. Un bel ritratto di ribelle al mondo dei benpensanti, forse con un po’ troppe aggiunte di senso volute dal regista, tra retrogusto gay, lesbiche, neri e altri soggetti ai margini
Il nome di John Callahan per il pubblico italiano equivale più o meno a quello di Carneade sul quale rimuginava Don Abbondio. Per gli statunitensi è stato invece un personaggio singolare, che si è raccontato in un’autobiografia dal titolo Don’t worry he won’t get far on foot, che tradotto significa “non preoccuparti non andrà lontano a piedi”. Detto così, potrebbe non essere chiaro, ma sapendo che John era tetraplegico ecco che quel titolo assume una valenza di sarcasmo e irriverenza piuttosto rare.
Quando uscì quell’autobiografia nel 1990, Robin Williams si accaparrò i diritti per trarne un film e si rivolse a Gus Van Sant. Come spesso succede, non se ne fece nulla. Nel frattempo ci hanno lasciati sia Callahan che Williams, ma Van Sant ha trovato finalmente una chiave (e il finanziamento Amazon Studios) per realizzare il progetto dallo stesso titolo.
Che inizialmente puntava sul più classico biopic, mentre ora, pur raccontando la vicenda di John Callahan, punta su un altro aspetto decisivo: il suo essersi liberato dall’alcolismo. Già, perché tutto comincia da lì. John viene lasciato dalla madre alla nascita, viene adottato, è infelice. A tredici anni scopre una bottiglia di gin, lo assaggia e quel che è peggio scopre che gli piace proprio. Inizia così un viaggio infernale di alcolismo pesante che lo porta al dramma quando ha ventun anni. A una festa incontra un altro indomito beone, trascorrono la serata a tracannare alcol sino all’abbrutimento, ma questo non impedisce loro di salire in auto e cercare un’altra festa. John è troppo ubriaco, guida l’altro, non meno fuori.
Infatti centra un palo in piena velocità. L’auto è sfasciata, come John che si è lesionato la spina dorsale. Sedia a rotelle a vita, uso parziale di una sola mano, insensibilità totale dal tronco in giù. Gran fatica quindi per bere, ma si può fare, almeno sino a quando, anni dopo, decide di frequentare un gruppo di alcolisti anonimi e cercare di smettere mentre cominciano ad essere pubblicate le sue prime controverse vignette.
Il film regge tutto su due attori. Il protagonista Joaquin Phoenix, che si rivela di volta in volta uno degli attori migliori in circolazione, e l’inattesa ottima performance di Jonah Hill nei panni di Donnie, il guru degli alcolisti che a base di sensibilità e frasi di Lao Tse permette a John di uscire dall’inferno in cui si è cacciato. Sulle loro spalle sta tutto il peso del film che scava nell’abisso, ma ha qualche sbandamento visionario con quella mamma sempre troppo presente nella sua grande assenza e un retrogusto gay che non apparteneva certo al vero John.
Così, per noi inesperti e assolutamente ignari del talento al vetriolo di Callahan, quel che contano sono le vignette in cui è bandito il politicamente corretto e ogni tipo di autocensura. Al vero John le proteste dei benpensanti non hanno mai fatto un baffo, per lui gli unici giudizi che contavano venivano da quelli malmessi come lui, stufi di sentire persone che leggevano la realtà in loro nome per trarne giudizi comportamentali. Una delle tante frasi autoinflitte dice: “il vero John Callahan si alzi in piedi”. Per tacere di lesbiche, neri, disabili, tutti messi nella centrifuga da John con il solo intento di cavarne un sorriso.
Don’t Worry, di Gus Van Sant con Joaquin Phoenix, Rooney Mara, Jonah Hill, Jack Black, Beth Ditto, Olivia Hamilton, Udo Kier, Kim Gordon, Carrie Brownstein, Emilio Rivera, Christopher Thornton, Santina Muha