Donne e potere: un nodo antico e le domande dell’oggi

In Saggistica, Weekend

Come ci si ribella alla violenza maschile? A quando un nuovo paradigma di leadership, meno verticistico e più inclusivo? Esiste un femminismo di destra? Tre libri di recente uscita affrontano da diverse prospettive la relazione complessa tra donne e potere

Tre libri di recente uscita affrontano il rapporto tra donne e potere: nodo problematico che racconta delle persistenze patriarcali sotto ogni latitudine ma anche dei cambiamenti in atto, questione già assai esplorata e alla quale questi tre saggi guardano da differenti angoli di visuale. 
Il primo di questo terzetto che abbiamo deciso di tenere insieme sotto il grande ombrello della relazione donne e potere è quello che più si distanzia dagli altri due perché il tema è la violenza maschile contro le donne.

Contrattacco è firmato da Paola Tavella, giornalista, scrittrice e femminista di lungo scorso che nell’impresa si è fatta accompagnare dal tratto deciso e ironico di una giovane illustratrice Teresa Cherubini. Eppure già in quel ‘ribellarsi e difendersi’ in copertina si legge la questione di cui sopra: se la violenza è il tentativo di usare il potere maschile contro la libertà delle donne, sappiate – Tavella e Cherubini si rivolgono soprattutto alle ragazze – che dovete riconoscere il vostro potere, coltivarlo e usarlo, abbandonando una volta per sempre la postura della vittima.
Argomento scivoloso, questo della postura di vittima, che potrebbe prestarsi ad una lettura colpevolizzante di chi è oggettivamente tale e, per molteplici ragioni, non riesce a uscire da una relazione tossica o abusante, ma l’intento del libro è chiaro e si tiene sufficientemente lontano dal rischio di fraintendimento. Mentre molta comunicazione mainstream in tema di violenza batte e ribatte soltanto sul concetto di donna vittima, spesso con modalità discutibili, ribaltare quella prospettiva significa percorrere un sentiero differente e già noto a chi conosce il lavoro dei centri antiviolenza: rintracciare e usare le risorse delle donne per non cadere o uscire da un circuito violento. Nei capitoli del libro ciò si traduce nel costruire via via una rete a maglie strette di azioni e pensieri sulla quale rimbalzare per rimettersi in piedi e non farsi risucchiare dal ‘miele del controllo maschile’ che dolce talvolta non è, neanche in apparenza. 
Dicevo una rete di azioni e pensieri; Contrattacco si pone esplicitamente come un manuale, con un linguaggio semplice e assertivo e ci si troveranno dentro, oltre ai contatti dei centri antiviolenza, consigli i più diversi da come vestirsi a come allenare il proprio corpo e la propria mente  – non brave bambine ma donne forti –  da come difendersi dagli abusi on line a come dare valore – e Dio sa quanto le donne abbiano bisogno di sentirselo ripetere – a se stesse e ai soldi. Sì, proprio ai soldi: il 95 per cento degli uomini violenti usa anche la leva economica per sottomettere e abusare e, scrive Tavella “avere denaro a disposizione e stabilire da sé che cosa farne, avere accesso al lavoro ed essere in grado di produrre un reddito può letteralmente salvare la vita”. Dunque  anche qui il potere c’entra: può essere usato contro le donne, controllando conti, spese, carte di credito ma può essere la forza dalle donne, se queste non hanno abdicato – e quanto spesso lo fanno per oblatività familiare o d’amore – a costruirsi autonomia economica. “Erotizzare l’eguaglianza” (ogni forma di eguaglianza, tenendosi lontane dalle trappole dell’amore simbiotico) mi sembra, con Mona Chollet, un ottimo proposito.
La rete che può sostenere le donne e farle consapevoli della propria forza  non sarebbe così robusta se non fosse anche intessuta dai pensieri e dagli esempi di altre donne: in Contrattacco Tavella mette in prospettiva, riprende pensatrici femministe e pezzi di storia fondamentali per capire l’universo della violenza, dal delitto del Circeo al Metoo americano e italiano, esalta, con Robin Morgan e bell hooks, la sorellanza e l’alleanza tra donne. Bella e di sintesi perché ci riporta al nodo individuato all’inizio, la citazione di Mary Wollstonecraft: “Il potere delle donne è nel loro coraggio”. 

Un grande tavolo da riunione – un cda dell’Associated Press nel 1974 – intorno 22 uomini e bisogna andare in quarta di copertina per scoprire là in fondo, nell’angolo, l’unica donna, Katharine Graham: esempio lampante di quella che Emanuela Griglié e Guido Romeo hanno chiamato Maschiocrazia, termine che dà il titolo al loro nuovo saggio in libreria per Codice.

In qualche modo ‘sequel’ dell’interessante precedente uscito nel 2021 Per soli uomini. Il maschilismo dei dati, dalla ricerca scientifica al design, Maschiocrazia va a battere dove il dente più duole, ovvero sulla complessa relazione tra donne e potere che resta tale, semmai ancora più gravida di domande, anche al tempo in cui in Italia a capo del governo c’è una donna che peraltro vuole essere appellata al maschile, ma rivendica  per sé caratteristiche ‘rassicuranti’ del femminile come l’essere madre. 
Fatica. Si fa grande fatica a cambiare un potere roccioso, ad alto tasso simbolico, difficile da smantellare: direte, non è una novità, ma forse lo è nella misura in cui l’indagine sul ‘perché il potere ha un genere solo’ esplora le tante ragioni per cui il cammino indubbio delle donne in tutti i settori della vita pubblica non riesce ancora a cambiare numeri, segno e stile della politica. Il metodo di lavoro di Grigliè e Romeo è quello già utilizzato felicemente in Per soli uomini: il saggio si nutre di molti dati e ricerche – lo spettro è vasto e internazionale e in questo caso si avvale di voci che quel mondo abitano o osservano, da Marta Cartabia che firma la prefazione a Kaja Kallas, da Roberta Metsola a giornaliste e ricercatrici come Luciana Castellina, Agnese Pini ed altre. Ovvio ci sia un ampio focus sull’Italia, che è anche un excursus storico che parte dalla difficile conquista del voto per arrivare, attraverso i dati sulla rappresentanza e sul sempre crescente astensionismo femminile, al tempo di Giorgia Meloni: sembra ma non è un paradosso che la prima leader al governo sia espressione della destra più destra, argomentano Griglié e Romeo. L’elemento di genere non ha infatti giocato molto sulla sua elezione né attraendo né respingendo e c’è una lunga tradizione dall’Europa all’America latina di leader conservatrici che, non sfidando più di tanto l’ordine patriarcale, non ‘spaventano’ l’elettorato. Sullo sfondo resta sempre il doppio tranello sul quale le donne rischiano di inciampare: se puntano sulla forza e su una leadership ‘al maschile’ sembreranno competenti ma antipatiche, se accentueranno lati più stereotipicamente femminili risulteranno empatiche ma inadatte al comando. Questi  bias di genere sono duri a morire persino nelle giovani generazioni: l’ultima indagine dell’Indice di Reykjavík che valuta gli atteggiamenti nei confronti della leadership femminile nei Paesi del G7 più India, Kenya e Nigeria racconta, per esempio, che in Giappone solo il 38% si sente a proprio agio con l’idea di un capo di governo donna. ll punteggio medio dei paesi del G7 è fermo a 78 da tre anni, dunque ancora  lontano da quel 100 che indicherebbe che donne e uomini sono considerati ugualmente adatti a comandare. Griglié e Romeo non vogliono però deporre le speranze che affidano alla necessità di cambiare il segno della leadership costruita sul finto neutro del maschile che si è voluto universale: se non è vero che la presenza di donne leader sia un fatto positivo ‘a prescindere’ dalle politiche messe in atto, è altrettanto chiaro, a loro avviso, che il modello maschiocentrico e verticistico mostra da tempo la corda e che le grandi sfide – dalla transizione energetica all’automazione che cambia volto al lavoro – richiedono processi decisionali inclusivi e basati sulle competenze. Un cambio di paradigma del potere insomma:vaste programme, diceva qualcuno.

E infine: con la sociologa Giorgia Serughetti e il suo Potere di altro genere. Donne, femminismi e politica uscito per Donzelli si squadernano in profondità questioni antiche e ancora brucianti  – eguaglianza o differenza delle donne nella sfera politica? E quale il rapporto tra le due nozioni? –  e quelle recentissime – può esistere un femminismo di destra? – poste alla nostra attenzione dalla conquistata leadership di politiche come Giorgia Meloni o Marine Le Pen.

Il saggio di Serughetti riprende sia il filo del periglioso cammino delle donne nella polis di cui sono specchio i numeri della rappresentanza, sia quello della produzione teorica che, sin dagli anni Settanta, ha criticato “l’omologazione prodotta dell’eguaglianza e la neutralizzazione della differenza”: non solo il femminismo della differenza ma anche altre correnti, fino all’intersezionalità che ispira i nuovi movimenti, che hanno smascherato l’inganno del maschile travestito da universale. E se in questa ricostruzione il femminismo non rinnega certo, in nome della differenza, il suo essere un movimento egualitario , è proprio su questo punto che si chiarisce la lontananza dalla destra. “Se l’eguaglianza non è in conflitto con la declinazione femminista della differenza lo è però con quella della destra, in cui la differenza è interpretata alla luce delle diseguaglianze ‘naturali’ o ‘tradizionali’ considerate da preservare”.
E si arriva all’oggi, alla domanda che si è nuovamente riproposta con l’elezione di Giorgia Meloni, prima donna ad assumere il ruolo di presidente del consiglio nella storia italiana: esiste un femminismo di destra? Ed è questa elezione il compimento, il punto di arrivo di un cammino cominciato con la battaglia per il voto e che consente, in qualche modo, di considerare risolto il rapporto problematico tra donne e potere di cui sopra si diceva?
Ingenuo/a chi crede che l’ingresso delle donne in quelle stanze produca necessariamente cambiamenti positivi per tutte, ci dice Giorgia Serughetti. Guardatevi intorno: alle storie di successo e di leadership corrispondono perdite consistenti di potere e diritti e la condizione delle donne, sotto ogni profilo e latitudine, sembra arretrare piuttosto che avanzare, mentre si moltiplicano gli attacchi ai diritti sessuali e riproduttivi e alle famiglie non tradizionali. In Europa oggi venti milioni di donne vivono in paesi in cui l’aborto, la cui valenza politica e simbolica emerge con chiarezza dalle pagine di Serughetti,  è vietato in quasi tutte le circostanze, per non dire degli Stati Uniti dopo la sentenza della Corte suprema. La risposta sul’esistenza di un femminismo di destra è dunque un netto no: con l’avvertenza che è necessario stare all’erta perché l’ideologia populista e sovranista si appropria della differenza sessuale allo scopo però di ribadire idee della società e della famiglia gerarchiche tradizionaliste e attuare politiche di segno conservatore. “Sembra più opportuno parlare di una femminilizzazione della destra, anziché di uno spostamento a destra del femminismo o di un femminismo di destra”.  
Ci si ferma qui, ma molti di più sono gli spunti di un saggio snello ma profondo che tiene i fili della complessità del presente – il moltiplicarsi e l’intrecciarsi delle diseguaglianze, la crisi climatica, le guerre, l’implosione dei sistemi rappresentativi e lo strapotere di quelli economici – per ribadire un’idea di femminismo come forza trasformativa radicale che sia anche capace di rompere la dicotomia tra partiti politici e movimenti per creare connessioni utili a costruire “una buona vita, per molte, per tutte, non per poche” .

In apertura foto di Lindsey Lamont/unsplash

(Visited 1 times, 1 visits today)