“Dragon Blade” di Daniel Lee è un racconto di troni di spade al servizio del grande vecchio Jackie Chan, che con Adrien Brody e John Cusack mette in scena lo scontro fra buoni e cattivi del Celeste Impero e di quello Romano. In “Passo falso” di Yannick Saillet un sergente francese, immobilizzato con un piede su una mina che sta per esplodere, vive la sua personale versione del conflitto di civiltà
Due millenni separano due guerre lontanissime appena approdate sugli schermi. I loro autori hanno modi opposti di raccontarle, in chiave kolossal e psicologica, collettiva e individuale, da show-business e autoriale. Non due capolavori, ma di certo prodotti abbastanza riusciti, tipici nel loro genere.
Costato 65 milioni di dollari, molti dei quali li ha messi Ali Baba, gigante cinese del commercio elettronico (170 miliardi dollari di vendite già nel 2012, più di Amazon e eBay messi insieme), Dragon Blade – La battaglia degli imperi del regista di Hong Kong Daniel Lee, anche sceneggiatore, colloca più o meno nell’anno 48 dopo Cristo, lungo la via della seta, storica arteria commerciale e culturale che univa Asia ed Europa, Occidente e Oriente, un immane conflitto tra due fazioni interne al giovanissimo impero romano: quella guidata dal crudele Tiberius (Adrien Brody, francamente inespressivo) e l’altra capitanata dal leale Lucius (John Cusack, un po’ più convinto), alleata dell’opposto esercito del celeste impero, a sua volta collegato a una serie di variegate sub-truppe locali, coloratissime e irruente. La principale delle quali combatte sotto l’illuminato comando del generale Jackie Chan, superstar del cinema cinese, qui pure produttore esecutivo, e, almeno dal punto di vista del carisma, vera ragione spettacolare del film, oltre alle scene belliche di massa e ai panorami davvero sontuosi. Più in generale, un passo importante per l’industria cinematografica cinese nell’affermarsi come importante polo mondiale dell’entertainment.
Nella città fortezza protetta dal Cancello dell’Oca Selvaggia (citazione?) il generale Huo An, di idee pacifiste, per un po’ sembra in grado, grazie all’aiuto di Lucius, di garantire una certa armonia tra le 36 nazioni ed etnie della zona. Ma l’esercito di Tiberius, in marcia da tempo, è alle porte, e non ha intenzione di fare prigionieri. Tra masse di figuranti orientali (il computer ci avrà anche messo la sua parte, ma sono tanti davvero) e qualche star hollywoodiana, Il wuxia cinese incontra il buon vecchio peplum in un progetto ambizioso, ambientato nell’affascinante deserto del Gobi dove ci sono voluti sette anni per realizzarlo. Se la verosimiglianza storica dell’insieme è tutta da dimostrare (tanto che nei titoli di testa si legge: film ricostruito su personaggi veri, e in quelli di coda appare la frase canonica: ogni riferimento a fatti e personaggi reali è del tutto casuale), è meticolosa la ricostruzione di costumi e tecniche militari. Certo, l’inno alla gloria di Roma, scritto da un musicista di Hong Kong, è cantato in latino da romani che poi parlano in inglese e chissà che ne capiscono i cinesi…, ma i valori fondanti del Jackie-Chan pensiero, sono intatti per i fan: vincono il vigore marziale, il valore dell’amicizia, l’astuzia e l’umiltà dell’uomo comune.
Duemila anni dopo, eccoci a Passo falso, film d’esordio del francese Yannick Saillet, che in passato ha diretto costosi videoclip e spot e qui esordisce nel lungometraggio, riuscendo a trasmettere quel senso di solitudine, paura e inutilità che il soldato massa sul fronte mediorientale incarna. Scampato a un’imboscata, un sergente dell’esercito francese in missione in Afghanistan mette un piede su una mina inesplosa: un altro passo e l’assenza del suo peso sull’ordigno lo farà deflagrare. Distruggendo ogni cosa si trovi nei pressi. Morti tutti gli altri commilitoni, per lui è impossibile muoversi e difficilissimo , nonostante una radio portatile, chiamare aiuto. E di fronte a lui un furgoncino carico di droga su cui giace una donna-ostaggio delle milizie talebane attirano civili e soldati, non proprio benintenzionati nei suoi riguardi. Salvo, forse, un ragazzino…
Non è il primo film recente sull’immobilità a rischio del soldato (dal balcanico No Man’s Land al danese Land of Mine), che è individuale ma anche simbolica, dell’Occidente verso un’insieme di guerre che da anni non riesce a vincere, anzi che non sa da che parte prendere e lo inchioda a una rischiosissima presenza di terra, statica e visibile. Dal punto di vista filmico Saillet gestisce bene l’inevitabile unità di spazio, e tutto sommato anche di tempo della vicenda, in una quasi soggettiva continua del soldato che spazia su panorami anche qui bellissimi (in verità non afghani, ma marocchini). Scritto insieme a Jeremie Galan, che è anche il protagonista, Passo falso non ama le sfumature, i dettagli e i personaggi minori, concentrandosi con una certa efficacia sul suo carattere principale, con non è neanche molto empatico ma trasmette bene un senso di paura e impotente resa. Se il nemico, più che mai indifferente, spietato e “altro da noi”, è quello classico dei film bellici occidentali di oggi, che non una domanda si pongono su come si è arrivati fin qui, di certo non si sfiorano entusiasmi o giustificazioni della guerra di civiltà: che resta, per chi combatte davvero, un terrore sempre subito, francamente incomprensibile, certamente indigeribile.
Dragon Blade – La battaglia degli imperi, di Daniel Lee, con Jackie Chan, Adrien Brody, John Cusack, Lorie Pester, Peng Lin, Sharni Vinson
Passo falso di Yannick Saillet, con Pascal Elbé, Laurent Lucas, Caroline Bal, Arnaud Henriet, Jeremie Galan