Atmosfere a tinte fredde ma battute briose in “Due biglietti della lotteria” di Paul Negoescu, che racconta le peripezie di un gruppetto di squattrinati amici di provincia. La fortuna butta un occhio sulla loro strada, ma il più stolto perde il tagliando che vale sei milioni di euro, jackpot del concorso televisivo nazionale. Un viaggio rocambolesco lungo il paese, depresso e globalizzato, anche nell’anima, quanto basta, non varrà a ritrovarlo. E anche quando un’incredibile seconda vincita, più modesta in verità, bussa alla porta, ci saranno problemi più che seri a riscuotere il gruzzoletto
«I nostri film non sono rappresentativi: abbiamo un paese di rara bellezza e loro fanno sempre vedere i posti lugubri, la tappezzeria verdina e i delinquenti. Non aiutano nemmeno il nostro turismo».
Partendo da Due Premi del drammaturgo rumeno Ion Luca Caragiale, in Due biglietti della lotteria il compatriota Paul Negoescu sceglie di parlare per preterizione attraverso le battute di uno dei suoi tre miserabili protagonisti, palesando quel che vorrebbe evitare ma in cui resta inevitabilmente imbrigliato. Perché il regista, già presente a Venezia 69 con Oh Luna in Thailandia, rincorre per tutto il tempo della sua commedia, novanta minuti di equilibrio e onestà, tappezzeria verdina e delinquenti.
Dinel (Dorian Boguță), Sile (Dragoș Bucur ) e Pompiliu (Alexandru Papadopol) sono tre everyman rumeni cui il fato gioca un brutto scherzo, facendo loro commettere un errore fatale. Causa scatenante delle peripezie dei tre disgraziati, che come ogni giorno si trovano al bar ad ammazzare il tempo, è la telefonata di Gina, moglie di Dinel, da due anni in Italia a lavorare, che si è invaghita di un fascinoso Don Giuliano. Per riscattare l’amore della donna, il pover’uomo non può contare sul lavoro – un’officina in fallimento – né sull’aiuto dei due amici, un marpione incallito e un complottologo di professione ancorato a dietrologie da polizia segreta.
Così, un po’ per noia un po’ per disperazione, i tre tentano di rispondere alla povertà col gioco di Stato. Panem et Circensem, dicevano i romani, truffa socialmente accettabile, si dice oggi. Ma contrariamente alle previsioni di Pompiliu, i numeri giocati dall’amico (la taglia delle scarpe, dei pantaloni e l’età) si rivelano vincenti: sei milioni di euro sono pronti per essere riscossi. Peccato che due delinquenti abbiano derubato il meccanico del marsupio in cui serbava la ricevuta del premio, ovvero la carta per il paradiso.
Il viaggio di tre uomini e una macchina (rumena), alla ricerca di un marsupio, è scandito dalle varie stazioni in cui i tre si confrontano con brandelli di umanità, figure che paiono vivere per inerzia; due prostitute che sognano quel mare di cui han solo sentito parlare da clienti facoltosi, una veggente (forse non voluto il rimando a Ladri di Biciclette), poliziotti annoiati e aspiranti cantanti/attrici televisive (la storia della giovane autostoppista ricorda i sogni lontani di The Idol). L’odissea non va a buon fine ma poco importa: tornato alla sua Itaca, Dinel è accolto dalla moglie, che dopo aver visto il mare e il Bel Paese è pronta a sopportare le angustie rumene. Non paghi delle disavventure, i tre decidono di scommettere nuovamente, ingegnando uno stratagemma che renderà loro impossibile perdere anche un improbabile nuovo biglietto vincente.
Dinel, Sile e Pompiliu sono tre spaventapasseri che si muovono in campi lunghi di hopperiana desolazione, in cui a spiccare non sono quei paesaggi di rara bellezza di cui Negoescu favoleggia ma insegne di brand occidentali, da Beck’s a Coca-Cola, oscuro oggetto del desiderio, specchio per le allodole di tre marionette che si sentono dentro Mission Impossible quando a bordo della loro sgangherata vettura accendono il navigatore del telefono. Tornano le atmosfere a tinte fredde di Mungiu, che Negoescu cambia di segno rendendo briose e positive solo nella sceneggiatura, ritmata da una serie di battute succulente, lucciole che segnano la trama di una Storia che vuole scrollarsi di dosso quella dimensione a-temporale in cui il paese nell’era post-Ceausescu pare ancorato.
Due Biglietti della lotteria, di Paul Negoescu con Dorian Boguță, Dragoș Bucur, Alexandru Papadopol