Paiato e Scommegna, serva e padrona, nel testo catalano “Due donne che ballano” che segna il trionfo del dialogo tornato a distribuire emozioni a teatro
Ormai gli indizi sono troppi. È la prova. Schiacciante. Il teatro di parola è tornato in primo piano, coi suoi bravi monologhi e le scene madri e matrigne, dopo tanti anni di affascinanti performances di corpi e materie, di luci e mimi, di post Beckett e post Kantor, disperazioni striscianti e living di Ricci Forte, con occasioni rare di psicanalizzare noi e il palco. Tanto Godot non arriva. Ma c’è un certo bisogno di spiegarsi meglio e, come dice Massini, fratello Lehman, che della parola è un Alfiere, nell’inflazione del verbo facile dei social e internet, la parola scelta è diventata rara, materia di teatro appunto e bisogna ragionarci su.
E così anche il cinema ripensa alla sua funzione dialettica, non tanto strana coppia col teatro: il caso di Dobbiamo parlarne di Rubini e soci, contemporaneamente in scena e su schermo, fa da esempio non banale alla duplicità espressiva dei media artistici.
Era una premessa per dire quanto siano brave e coinvolgenti e mattatrici ad personam Maria Paiato, ex Celestina, e Arianna Scommegna, devota a Testori, dirette da Veronica Cruciani, due protagoniste della novità Due donne che ballano, produzione del Carcano scritta dal catalano classe 40 Josep Maria Benet i Jornet (lo scriviamo una volta poi basta) che ha già scritto 40 testi e condivide con una delle due donne della commedia, la Padrona, la passione per i fumetti o, per dirla in vintage, i giornalini.
È una discussione continuamente interrotta, da cinque quadri, tra una vecchia signora (Paiato invecchiatasi) e la sua badante Arianna, la prima prototipo della casalinga vedova, con la collezione dei fumetti e con figli nulla pensanti; la seconda una insegnante disoccupata dalla vita infelice e con un clamoroso episodio nero che ha sconvolto la sua privacy. Prima si guardano in cagnesco, come vuole la regola, poi un poco alla volta, tutto nell’arco di 100’ minuti, senza paura, si conoscono, ballano pure e si confidano fino all’ultima totale assoluta identificazione reciproca. E dire che le mosse psicologiche non siano a buon tasso di prevedibilità sarebbe una bugia.
C’è di tutto e di più, Genet e Brecht e la lotta di classe e la classe della lotta e la divisione dell’ego, sepolto sotto questa stratificazione brillante di dialoghi tragicomici che attrici di talento tengono superbamente sotto controllo anche se ogni tanto viene il dubbio che la prof. in pensione sia Maria. È, dice la morale d’autore, una piccola storia di condominio, come tante, che diventa grande agli occhi e alle orecchie dello spettatore che si identifica, soprattutto se donna e un poco anziana. Un uomo li vale tutti e tutti lo valgono, diceva Sartre: vale anche per le signore.
Immagine di copertina © Marina Alessi