I fratelli Dardenne tornano al tema del lavoro e della solidarietà con la storia forte della fragile Sandra, madre coraggio di un mondo sempre più precario
Sono passati diciotto anni da quando i fratelli Dardenne approdarono per la prima volta al festival di Cannes con La Promesse (1996), eppure Due giorni, una notte, presentato all’ultima edizione del festival, conserva ancora molto della marcata identità autoriale degli esordi, restando fedelissimo a quello stile e a quei temi. I Dardenne ritornano sul tema del lavoro, negato, desiderato, conquistato da Sandra, la protagonista del film, che lotta, con tutte le sue fragilità, per garantirsi una vita normale in un sistema sociale spietato. Ancora una volta lo stile è asciutto, senza fronzoli, e il tocco del regista azzerato dal labor limae. Una capacità di lavorare in levare che valorizza, come sempre nei Dardenne, la rinnovata forza del messaggio di denuncia del film.
Sandra (una Marion Cotillard splendida in jeans, canotta e occhiaie), madre amata e incline alla depressione, è operaia in una piccola azienda in difficoltà. I suoi colleghi, istigati da un proprietario senza ritegno e principi etici, votano per il suo licenziamento in cambio di un bonus in denaro. La donna però si batte e ottiene la possibilità di far ripetere la votazione: ma avrà solo due giorni e una notte di tempo per convincere i colleghi a cambiare idea e a rinunciare al premio in favore del suo reintegro al suo posto. Ancora una volta, nel cinema dei Dardenne, il lavoro non è solo fonte di sostentamento, ma anche di affermazione e realizzazione di sè nel mondo, condizione naturale e vitale per l’uomo. E per la donna, che la rivendica qui con forza. La ricerca di un impiego si delinea come lotta darwiniana per la sopravvivenza, in cui i protagonisti sono i non garantiti, i precari, i più deboli, chi nel lavoro contemporaneo non ha spazio né potere.
Questa umanità è osservata dall’occhio dei registi in maniera precisa, puntuale, oggettiva. La macchina da presa, un altro tratto tipico del cinema dei Dardenne, “pedina” la protagonista in piani sequenza naturalistici, e il risultato è uno stile narrativo asciutto, sobrio, apparentemente spontaneo ma in realtà frutto di un lungo lavoro preliminare sui movimenti di macchina, con gli attori e in fase di scrittura. Il film, con questo linguaggio, ha un ritmo che scorre senza strappi, raccontando via via tante piccole storie: nell’avvicendarsi degli incontri di Sandra coi suoi colleghi, ognuno mostra di avere un proprio motivo per aver bisogno del bonus. Ma i registi non giudicano nessuno, lasciando allo spettatore la costruzione emozionale e empatica del suo rapporto con la protagonista e gli altri.
Un bagliore di speranza arriva dallo spontaneo sostegno tra le persone. Emerge il tema dalla famiglia, destinata per natura a favorire la complicità tra i suoi membri, che non si era vista mai (così) coesa nel cinema dei Dardenne. Manu, il marito di Sandra, interpretato dall’attore feticcio Fabrizio Rongione, diventa codsì il braccio destro della fragile moglie, ma alla fine, a fare la differenza sono i gesti di solidarietà tra colleghi, che destabilizzano un sistema di valori e di relazioni che li vuole invece gli uni contro gli altri.
In tempi di crisi, di un’Europa afflitta dal precariato e dalla crescente disoccupazione, dai nuovi poveri e da piccole imprese in fallimento, il messaggio politico del film arriva forte e profondo. Torna in qualche modo in mente la preghiera serale sussurrata da Rosetta in un altro celebre film dei registi belgi: «Tu ti chiami Rosetta. Io mi chiamo Rosetta. Tu hai trovato un lavoro. Io ho trovato un lavoro. […] Tu hai una vita normale. Io ho una vita normale». Ma il cinema dei Dardenne non è mai didascalico, nè programmatico, non impone allo spettatore con chi schierarsi, da che parte stare. Due giorni, una notte recapita piuttosto un potente messaggio sociale che invita a non lasciarsi imbarbarire dalle condizioni di vita difficili, dalla precarietà del lavoro e dell’esistenza, a non dimenticare il rispetto per l’altro, oltre che per se stessi. E lo fa restando fino in fondo la storia di una donna, una eroina moderna forse dalla lacrima facile ma certo non sconfitta. Guardando il film forse non si parteggia sempre per Sandra, ma è con lei che si finisce per condividere un sistema di valori.
Due giorni, una notte, regia dei fratelli Dardenne, con Marion Cotillard, Fabrizio Rangione