San Marco, Santa Maria delle Grazie: un lunedì con due concerti di musica antica organizzati da Milano Musica e dall’Accademia di Musica Antica grazie al tenace lavoro di chi continua a proporre al pubblico un’offerta di cui ha nostalgia e bisogno, dopo l’estinzione del leggendario ciclo Musica e Poesia a San Maurizio. E nel 2019 si guarda anche a Leonardo
Per una di quelle coincidenze del caso che Schiller considerava “prove di assoluta evidenza” (ma “a chi ha una luce nel cuore”), lunedì 26 novembre due chiese della Milano più carica di storia risuonano di musica antica nello stesso momento, senza essersi messe d’accordo prima.
In San Marco, teatro sacro della prima esecuzione della Messa da Requiem di Verdi, Milano Musica conclude il festival 2018 con un programma spurio e sorprendente. Nella prima parte (ore 20.30) musiche del nostro tempo, ovviamente: l’Omaggio a Luigi Nono (1979) e Eight Choruses to poems by Deszö Tandori (1984) di György Kurtág, e What is the Word, pezzo in prima assoluta, commissionato dal festival, scritto da Paolo Perezzani (classe 1955), ispirato a Beckett e a un suo scritto molto più che simbolico.
Nella seconda parte, forte dell’avere in forza Les Cris de Paris, gruppo diretto e fondato da Geoffrey Jourdan, il concerto vira in gloria del passato con pezzi di Carlo Gesualdo, John Willbye, Pompinio Nenna, Orlando Gibbons, Luca Marenzio, William Byrd, tutti maghi della vocalità del Cinque-Seicento. Programma sorprendente perché, come si sa, Milano Musica è un festival che da 27 anni si occupa di musica moderna e contemporanea, quest’anno concentrato sul compositore più grande di questo scorcio di anni, Kurtág, del quale la Scala ha appena debuttato la prima e unica opera, Samuel Beckett: Fin de partie, scritta alla molto venerabile età di 92 anni.
Milano-Napoli, andata e ritorno
Non lontano, quasi alla stessa ora (21), nella Sagrestia Bramantesca di Santa Maria delle Grazie l’ Accademia di Musica Antica di Milano chiama la Nova Ars Cantandi di Giovanni Acciai, che riporta alla luce, dopo 300 anni, pagine mai ascoltate in epoca moderna: i Responsorij della Settimana Santa di Leonardo Leo. Dopo Scarlatti e assieme ai coetanei Porpora, Feo e Durante, Leonardo Leo è tra i fondatori di quella Scuola che faceva correre a Napoli i grandi d’Europa, da Händel a Mozart, per imparare qualcosa da un crogiolo di geni assiepati a ridosso dei quattro conservatori più prolifici del mondo di allora.
Leo compose i suoi Responsorij pochi mesi prima di morire, tutt’altro che vecchio, cinquantenne, nel 1744, per la Real Corte del Viceré di Napoli, da poco assunto un incarico di prestigio che il destino gli impedì di godersi e di renderlo ancor più celebre nella storia. Era nato in “Terra d’Otranto” nel 1694, soprannominato “il Tarentino”, educato e cresciuto nel Conservatorio della Pietà dei Turchini, uomo raffinato e di eccellenti maniere, elegante, musicista in grado di esprimersi con fantasia nella musica strumentale e in quella vocale. Ha lasciato però un repertorio più sbilanciato nel secondo filone: una cinquantina di drammi per musica, scritti anche per Roma e Venezia, una dozzina di oratori, molte cantate vocali da camera, solo alcune pagine strumentali, tra cui sei bellissimi Concerti per violoncello e orchestra e interessanti Sonate e Toccate per clavicembalo.
Dischi da levarsi il cappello
Giovanni Acciai, musicista, insegnante al Conservatorio Verdi di Milano, vera autorità in materia di aureo passato della cultura musicale italiana, è l’autore di una riscoperta che ha catalizzato l’attenzione di tutto il mondo attento ai repertori preclassici. La Archiv, etichetta della Universal-Deutsche Grammophon con lungo pedigree in musica barocca e antica, non ha esitato a registrare questi Responsorij di Leo (nella Basilica palatina di Santa Barbara a Mantova, di acustica meravigliosa) e li ha pubblicati da poco in CD con il titolo latino. Leonardo Leo, Responsoria si aggiunge così agli altri tre che Acciai ha realizzato con Archiv fino a oggi: Arpa davidica, Monteverdi. Contrafacta e Confitebor. Tutti da levarsi il cappello.
Dalla luce all’oscurità
Non c’è solo da ascoltare, il 26 novembre in Santa Maria delle Grazie: il concerto, che la Nova Ars Cantandi ha già eseguito nella tana del lupo, alla Pietà dei Turchini, è “drammatizzato” da un rituale che accompagnava in origine la liturgia dei tre giorni di Pasqua. Una cerimonia dalla luce all’oscurità. «All’inizio – racconta Acciai -, l’unica luce che illuminava la chiesa proveniva da un candelabro triangolare (allusione alla santissima Trinità), a forma di freccia, detto appunto “saetta”, sul quale ardevano quindici candele, sette per ogni lato, raffiguranti gli undici apostoli rimasti fedeli a Gesù dopo il tradimento di Giuda, le tre Marie e una al vertice: il Cristo. Dopo il canto di ogni salmo del Mattutino (nove) e delle Lodi (cinque), veniva spenta una candela, ad eccezione di quella posta più in alto». Così sarà lunedì 26 in Santa Maria delle Grazie, come è già stato a Napoli il 19 novembre, con effetto che completava visivamente un ascolto che pubblico e critici hanno definito soggiogante.
Nostalgia di San Maurizio
Perché questa coincidenza ci fa soffermare e a riflettere? Perché Milano è orfana di una rassegna organica di musica antica dal 2008, quando si è estinta per inerzia, ignavia pubblica, mancanza di ogni logico sostegno, il ciclo davvero leggendario di Musica e Poesia a San Maurizio. Creata nel 1976 con il sostegno del Comune di Milano, mosso in solitaria da Sandro Boccardi, Musica e Poesia a San Maurizio ha fatto transitare a Milano per più di trent’anni quasi tutti i protagonisti delle varie correnti di musica barocca e antica, informando e formando almeno due generazioni di ascoltatori. Un po’ tutti ci siamo fatti un orecchio antico su quei concerti, che completavano dal vivo un’informazione alimentata da una discografia anch’essa quasi estinta. Passavano Gustav Leonhardt, Jordi Savall, Ton Koopman, Trevor Pinnock, Christopher Hogwood, i Musica Antiqua Köln e centinaia di gruppi che costruivano una consapevolezza storica ormai parte dell’ascolto di tutti, oggi, anche di quelli che non c’erano. E non solo il Coro di San Maurizio al Monastero Maggiore di Bernardino Luini, da poco restaurato, era il posto dedicato, ma anche la stessa Sagrestia del Bramante di Santa Maria delle Grazie, le basiliche di San Simpliciano, San Vittore al Corpo, San Satiro, la Sagrestia di San Marco, tutti spazi d’arte, di per sé spettacolo, in cui quelle musiche trovavano naturale risonanza, dove filologia ed emozione erano una cosa sola. Qualcosa si è tentato di ricreare e di ricomporre, grazie alla Cappella Musicale e alla Fondazione Fodella, ma quel vuoto è rimasto.
Accademia di Musica Antica per Leonardo da Vinci
Il concerto di lunedì 26 in Santa Maria delle Grazie è un segnale: ci sono realtà che lavorano nella penombra e nelle pieghe della comunicazione dominante per restituire ciò di cui il pubblico ha nostalgia e bisogno. Sono realtà come l’ Accademia di Musica Antica di Milano, che riempie con discrezione e fantasia gli spazi “giusti” con un’offerta musicale raffinata. L’Accademia (A.MA.MI. per gli amici) offre ogni anno concerti a ingresso libero che nella stagione prossima prenderà corpo sostanzioso, con cinque appuntamenti, dei quali uno anche in forma scenica, dedicati al tempo di un altro Leonardo, da Vinci. Il primo, il 21 marzo 2019, in una chiesa storica, gli altri quattro nella Sala del Cenacolo del Museo della Scienza e della Tecnologia. Avranno un tema: “Milano e la sua centralità culturale e musicale”, con sguardo sulle musiche composte dalla seconda metà del Quattrocento al primo Seicento per la Corte dei Visconti e la Cappella Musicale del Duomo.
Perché Leonardo da Vinci? Elementare, Watson: perché nel 2019 saranno cinquecento anni dalla sua morte. Il conto alla rovescia è iniziato. Deve iniziare. Perché l’architetto, ingegnere, pittore, inventore, era anche un po’ musicista.