“Dove si narrano gli amori di Giglio e Giacinta nella cornice da sogno della più bella fiaba mai scritta sul Carnevale”.
Non si risparmia, Hoffmann, per raccontare questa storia sul dualismo dell’animo umano: paura e amore, faccia a faccia, tra travestimenti, colpi di scena, svolte. E, naturalmente, magia.
L’Orma ripubblica la fiaba capricciosa che scaturì dall’innamoramento dello scrittore per un ciclo di pitture, con un saggio di Baudelaire sul riso.
Forse, Ernst Theodor Wilhelm Hoffmann, considerato il caposcuola del Romanticismo tedesco, di romantico nel senso di sentimentale non ha molto, anzi: se la ride di struggimenti e piagnistei amorosi, per giocare con fantasie funamboliche, per poi smontarle, metterle in bell’ordine, e farle saltare in aria di nuovo.
Piacere del gioco, leggerezza e maestria che prende senz’altro da Mozart, cui dichiara la sua devozione cambiando il suo terzo nome in Amadeus, e infatti lo conosciamo come E.T. A. Hoffmann, che sempre calcherà le orme dell’autore de Il flauto magico.
Altra riconosciuta ispirazione di Hoffmann deriva dai Capricci incisi da Jacques (che lui germanizza in Jacob ) Callot, come riconosce nella Premessa a La principessa Brambilla, appena pubblicato da L’Orma Editore.
‘L’autore prega però umilmente il benevolo lettore che avesse voglia e fosse disposto a metter da parte qualche ora di serietà ad abbandonarsi al gioco impertinente e imprevedibile di uno spiritello talvolta forse troppo sfacciato, di non perdere di vista ciò che costituisce la base di tutta la storia, vale a dire quelle pagine che contengono le caricature fantastiche di Callot e di tenere anche a mente ciò che ad esempio un musicista può attendersi da un capriccio’.
Erano così importanti queste incisioni che Hoffmann commissionò all’artista grafico Carl Friedrich Thiele di riprodurne otto per illustrare il suo racconto: sono le stesse che illustrano questa edizione.
È peraltro straniante che, al massimo del climax, Hoffman si rivolga al lettore invitandolo a non dare interpretazioni, spiegazioni intellettualoidi, ma si abbandoni andare alla fantasia, come nei sogni, i cui strascichi ti lasciano a mezz’aria, svolazzante in un’aura più vera del vero, salvo poi precipitare pieno di lividi e ammaccature.
Di questa consapevolezza critica parla anche Charles Baudelaire nel suo saggio Sull’essenza del riso e in generale sul comico nelle arti plastiche, pubblicato in fondo a questa edizione.
‘ Ciò che distingue in modo peculiare Hoffmann è la mescolanza involontaria, ma talvolta invece molto volontaria, di una certa dose di comico significativo con il comico assoluto. Le sue invenzioni comiche più soprannaturali, più fugaci, e che spesso assomigliano a visioni dell’ebbrezza, hanno un senso morale molto evidente: sembra di avere a che fare con un fisiologo o con un medico che studi la pazzia più profonda e che si diverta a coprire di forme poetiche la profondità del suo sapere scientifico…Prendiamo ad esempio il personaggio di Giglio Fava, l’attore affetto da dualismo cronico de ‘La principessa Brambilla’, il quale di tanto in tanto cambia personalità…Infine…preciso che Hoffmann sa bene che l’essenza di questo comico è fingere di ignorarsi e sviluppare nello spettatore, o meglio nel lettore, la gioia della propria superiorità’.
E così, con Baudelaire, abbiamo fatto anche noi proprio il contrario di quello che ci suggeriva Hoffmann: ci siamo messi a elucubrare.
Godiamoci invece lo spettacolo.
Ambientato in una Roma immaginaria, in uno sfrenato, mirabolante carnevale, ‘La principessa Brambilla’ racconta l’amore tra l’attorucolo Giglio Fava e la bella sartina Giacinta, in un caleidoscopio di travestimenti, equivoci, feste, balli, principi, mendicanti, imbroglioni. Il divertimento è lasciarsi andare a questo ‘Capriccio’.