Al Teatro alle Colonne l’Edipo Re filologico e sperimentale di Christian Poggioni: solo tre attori in scena e tanta cura alla tradizione e all’essenza del teatro
L’Edipo Re di Sofocle torna a in scena al Teatro alle Colonne per la regia di Christian Poggioni e la produzione di Kerkis Teatro Antico; associazione che costituisce un unicum nel panorama milanese per la scelta di rappresentare commedie e tragedie della tradizione classica antica.
Edipo Re è uno dei più importati testi dell’antichità: già Aristotele ne elogiava il valore artistico come perfetta sintesi delle unità di tempo, luogo e azione teorizzate nella sua Poetica.
Ma è soprattutto la tragedia della conoscenza, della ricerca di una colpa che è infine insita nello stesso inquisitore. Com’è noto Edipo, figlio rinnegato da Laio, Re di Tebe, viene abbandonato dai genitori e accudito fortuitamente da una coppia di pastori di Corinto per sfuggire alla temibile profezia che incombe su di lui: uccidere il padre e unirsi con la madre. Ignaro delle sue origini, una volta cresciuto apprende della profezia e fugge a Tebe, commettendo inconsapevolmente il parricidio e diventando re una volta risolto l’”Enigma della Sfinge”.
Sia le precauzioni prese da Laio che da Edipo figlio, si rivelano vane ad allontanare il loro un ineluttabile destino.
Il mito di Edipo è stato oggetto di molteplici interpretazioni, una fra tutte quella del celebre psicanalista viennese: Freud ne fece infatti il simbolo dell’omonimo complesso che se ben superato porta al distacco dalla figura materna ed all’assunzione della propria identità. Pasolini lo rappresentò su grande schermo facendone mescolando l’Occidente ed un Primitivismo africano originario. Ma Edipo è soprattutto la tragedia del limite di una conoscenza umana che non è mai completa, in cui l’uomo non è mai padrone di sé stesso. Forse proprio per questo piacque a Freud, che ad esso legò la sua idea di inconscio. Edipo infatti si adopera incessantemente per giungere alla soluzione dell’ennesimo enigma, ma l’indagine che muove la sua sete di conoscenza lo porterà a conclusioni di una nuda realtà, lacerante e inaspettata.
Christian Poggioni punta la resa scenica sugli attori: gestualità, trasformazione dei personaggi e prossemica riempiono gli spazi in modo pervasivo con un continuo gioco di sfondamento della quarta parete. Il pubblico è reso partecipe a tutto tondo di un’espressività che si manifesta con atmosfere visive e un attento lavoro tanto sullo spazio che sulla corporeità degli interpreti.
C’è una cura particolare all’aspetto filologico grazie alla direzione drammaturgica di Elisabetta Matelli (docente di Retorica all’Università Cattolica) che si esprime con la scelta coraggiosa, soprattutto su un testo così impegnativo, di far recitare sul palco solamente tre attori, riprendendo la tradizione del teatro antico. È una scelta tradizionale ed assieme sperimentale che viene accompagnata anche dall’uso di maschere sui volti degli attori per tutto lo spettacolo. Gli attori, per dare vita ai personaggi devono quindi affidarsi molto di più alle tecniche di modulazione della voce, garantendo un ritmo incalzante e mai statico della rappresentazione, proprio come accadeva nel teatro greco antico.
Stefano Rovelli interpreta intensamente Edipo, in un costante stato di ansia di verità, cambiando drasticamente una volta compreso il suo destino e mostrandolo inerme, debole, impotente.
Giulia Quercioli, bravissima soprattutto nel ruolo dell’enigmatico Tiresia, fa emergere il lavoro registico portato avanti sui personaggi interpretando anche la moglie-madre Giocasta, di cui mostra l’intima ed agghiacciante sofferenza. Simone Mauri, con fisicità e tenacia dà luce al personaggio di Creonte, e dona corpo al pastore che con le sue parole svela tutti i risvolti della profezia di Apollo, ponendosi come chiave della risoluzione narrativa. Federico Salvi riveste infine il ruolo sperimentale di un coro che dà voce non solo al testo, ma rende partecipi tutti gli spettatori in platea come se fossero essi stessi parte del coro, trasportandoli con enfasi in prima persona nel dramma.
La rappresentazione si completa con la scenografia essenziale ed evocativa di Dino Serra che crea atmosfere auree e regali ed allo stesso tempo cupe e tragiche e dalle ricostruzioni musicali di Irene Solinas.
Traspare dallo spettacolo un’attenzione particolare per l’origine delle tecniche del teatro antico e il desiderio di dare omaggio alla rappresentazione come ad un evento che ha a che fare in primo luogo con la voce, il corpo, lo spazio e tutti quegli elementi che, dagli spettacoli del V secolo fino ad oggi, costituiscono fondamento e sostanza di ogni rappresentazione teatrale.