Una figlia che grida vendetta per l’uccisione del padre, che odia la madre per averglielo portato via ma che alla fine non riesce ad agire. Il dramma antico riscritto da Hofmannsthal e messo in musica dal grande compositore tedesco è stato proposto all’Auditorium Parco della Musica di Roma da Antonio Pappano in forma di concerto. Con una direzione tesa ed energica
Una scelta ardita, quella di Antonio Pappano di aprire il 18 ottobre la stagione dell’Accademia Santa Cecilia di Roma considerando l’Elektra come una partitura sinfonica con voci.
Siamo davanti a un’opera energica concentrata in un solo atto con momenti di grande presenza sonora. L’orchestra è ampia, imponente, tesa e molti passaggi, tra cui quelli corali al termine dell’atto, sono densi e prepotenti nell’intensità.
L’impalcatura timbrica di Richard Strauss è impervia, si articola in una contrapposizione continua che la rende spesso protagonista assoluta degli eventi. Nonostante esistano momenti cameristici di grande effetto, il tormento esasperato di Elektra si traduce nell’opera come una lotta incerta tra il vigoroso magma strumentale e voci di donne che devono tagliare l’orchestra per affermare i propri istinti, pur mantenendo i riflessi argentei della femminilità. Il rischio, davanti ad una partitura come quella dell’Elektra, è che venga meno la tensione o che al contrario, l’orchestra vinca drammaticamente sulle voci. E se da una parte il lavoro vocale è tutt’altro che semplice poiché servono voci appuntite – in grado di penetrare l’insieme orchestrale dove serve anche prepotentemente e senza troppi vibrati – dall’altra, la scelta di interpretare l’Elektra in forma di concerto rende ancora più difficile entrare nella tessitura timbrica in alcune aree dell’estensione vocale.
Su queste premesse bisogna lodare anzitutto la grande presenza sonora dell’Orchestra e del Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che hanno sospeso il duro linguaggio drammaturgico di Hofmannsthal in un amalgama fatto di materia ferrosa e di aria torbida. L’Orchestra è stata in grado di mantenere la tensione fin dagli albori cupi del tema in re minore di Agamemnon invocato da Elektra ed è riuscita a non perdere la sua presenza anche durante le parti più cameristiche dell’opera, incarnando appieno il tormento dell’Elektra interpretata da Ausrine Stundyte. Il tutto sorretto dalla capacità tensiva, energica ed “elettrica” della direzione di Pappano, senza la quale sarebbe stato difficile per le interpreti femminili vivere interamente nel dramma di un impasto timbrico che non si ferma mai, che non lascia mai spazio ad un vero silenzio. La difficoltà della forma di concerto riguarda l’insieme, ma più che altro le voci. In tal senso, è importante caratterizzare le voci nel loro contesto.
Klytämnestra è descritta come un cadavere vivente dal volto pallido e dal corpo ricoperto di talismani e gemme protettive. Incubi spaventosi la tormentano, è malata della colpa di cui si è macchiata ed Elektra è la voce della sua coscienza che viene per accusarla. Il suo canto è sognante, lento e tumultuoso al contempo. Il timbro di Petra Lang è forse il più argenteo e richiama perfettamente gli attimi di magia che Strauss affida alla figura di Klytämnestra, una madre che vuole sentirsi di nuovo amante, e al “cristallo” del glockenspiel. Forse le difficoltà maggiori dovute alla forma di concerto si ritrovano proprio nel ruolo di Petra Lang, per quanto riguarda il taglio dell’orchestra, ma non per carenze dell’interprete. Infatti, rispetto ad Elektra e sua sorella Chrysothemis, Klytämnestra è talismanica. La sua voce non grida il fuoco della vendetta, semmai un languido tormento per dei sogni colmi di rimorso che non la lasciano mai in pace, mentre tenta di trovare un modo disperato di perdonare se stessa. E la limpidezza cupa di Petra Lang è proprio Klytämnestra.
Tra Klytämnestra ed Elektra troviamo poi Chrysothemis, interpretata da Elisabet Strid, alla quale viene affidato il compito di mostrare tutto l’universo di Hofmannsthal: il tema della metamorfosi, dell’individuo suscettibile al cambiamento, appartiene a Chrysothemis più di ogni altra cosa. È quasi inevitabile che il tema di valzer la segua e le diventi proprio, insieme ad una fantasia melodica che si rivolge al sogno. Una vocalità ammaliante, delicata ma sempre presente, quella di Elisabet Strid, che si pone come giusto contraltare all’Elektra di Ausrine Stundyte, una protagonista fin da subito tagliente e tensiva, in totale accordo con la spinta direttoriale.
Ausrine Stundyte (Elektra) e Kostas Smoriginas (Orest)
Elektra è il mistero del doppio: una figlia “senza talamo” che grida vendetta per il ricordo del defunto padre Agamemnon e che odia sua madre Klytämnestra per averglielo portato via al punto da volerla uccidere in nome della rivalsa, ma che alla fine non riesce ad agire, si frena lasciandosi travolgere da un amletico tormento che ondeggia tra dolcezza e fuoco isterico. Elektra non fa nulla, mai. Il suo tormento senza remissione si annienta nella totale incapacità di agire e non può far altro che riversarsi nel sentimento. E in questa frustrazione, Ausrine Stundyte è tagliente e delicata insieme. Nel suo caso, la forma di concerto ha assunto un piacevole risvolto: non doversi piegare a scelte di regia che avrebbero quasi sicuramente mostrato l’animo inquieto sotto forma di movimenti sul palco, l’interprete è riuscita a canalizzare l’esplosione energica nella voce, risultando ancora più tagliente ed efficace. La sua voce è plumbea anche nella limpidezza acuta del dolce ricordo, dell’invocazione o del desiderio, come se in fondo non potesse mai dimenticare il tormento che la tiene in vita. Solo quando Orest (interpretato dal baritono Kostas Smoriginas) agisce e vendica il padre uccidendo Klytämnestra e l’amante Aegisth (interpretato dal tenore Neal Cooper), Elektra può giungere al silenzio. Ausrine Stundyte penetra la catarsi orchestrale e si amalgama a tal punto da non poter più trattenere un accenno di quella danza finale di liberazione, indomabile bisogno, all’acme di un’opera così potente. Orest arriva ed è portatore di vendetta, ma il valzer comunque non si compie. L’Orchestra Nazionale del Santa Cecilia grida nel disperato tentativo di risvegliare un corpo di donna consumato che non ha più un posto da occupare, mentre la parte più femminile della tragedia, Chrysothemis – Elisabet Strid, continua ad invocare Orest – Kostas Smoriginas.