Donald Trump, la violenza contro le donne, il discorso accorato di Michelle Obama che ricorda che ogni donna lo sa, come ci sente in quei momenti. E come tutto questo e la candidatura di Hillary Clinton abbiano molto a che fare con la vita di una ragazzina. E con il suo futuro
Stamattina mi sono svegliata presto, verso le cinque. Non so poi perché. Dormivano ancora tutti, la casa era solo mia nei suoi silenzi e nelle sue ombre. Sono scesa in cucina, ho messo su la moka e ho acceso il computer per leggere un po’ di notizie. Donald Trump è diventato, da venerdì scorso, il nuovo Bill Cosby: sono ormai tante le donne che si sono fatte avanti e hanno detto di essere state attaccate sessualmente da Trump. L’articolo di prima pagina sul New York Times dice giustamente che la cosa più strana di queste elezioni è che malgrado per la prima volta ci sia una donna candidata, è grazie a Trump che le donne che hanno subito della violenza da parte degli uomini hanno la possibilità di denunciare quello che è accaduto loro. Strane, queste elezioni.
Poi ho ascoltato il discorso che Michelle Obama ha tenuto ieri in New Hampshire, davanti a centinaia di donne, uomini e bambini pro: dice che non riesce ancora a crederci che un candidato alla Casa Bianca si sia vantato di abusare delle donne, una notizia che l’ha colpita nel profondo. Perché, dice noi donne sappiamo bene cosa si prova quando camminiamo per la strada e un uomo fa un commento volgare sul nostro corpo. Noi donne, dice, sappiamo bene cosa si prova quando un collega ci sta sempre un po’ troppo vicino, quando ci guarda più a lungo del dovuto e proviamo quella sensazione di disagio. Conosciamo fin troppo bene la sensazione di terrore che le donne provano quando vengono toccate o obbligate a avere un rapporto sessuale anche quando dicono di no, cosa che succede nei campus universitari e dappertutto, ogni giorno. Li conosciamo i racconti delle nostre mamme e le nostre nonne, di quando ai loro tempi il loro capo poteva fare e dire tutto quello che voleva alle donne e anche se lavoravano moltissimo e superavano ogni ostacolo, non era mai abbastanza. “We thought all of that was ancient history, didn’t we? But here we are, in 2016, and we are hearing these exact same things everyday…“.
A metà discorso, che dura più di venti minuti, ho sentito i passi di Emma che, assonnata, veniva a darmi il buongiorno. “Cosa stai ascoltando?”, mi chiede. Io spengo subito, perché non voglio che lei senta che noi donne siamo ancora adesso, nel 2016, delle vittime potenziali. Non voglio che senta che il candidato alla Casa Bianca, la persona che potrebbe rappresentare lei nel mondo, ha detto chiaramente che siccome è famoso salta addosso alle donne che gli piacciono, le bacia e gli mette le mani nelle mutande. Ma lei ha insistito, e ha ascoltato con me le parole di Michelle Obama, che parlava con un groppo alla gola pieno di rabbia, pieno di tristezza.
Non è, dicevo a Emma alla fine del discorso, solo un problema politico, è un problema in generale: gli uomini si sono sempre sentiti più forti delle donne e se ne sono sempre approfittati. “Ma tutti gli uomini, anche papà?”, mi ha chiesto preoccupata.
Certo che no, le ho detto. Fortunatamente non tutti gli uomini, e infatti anche loro dovrebbero sentirsi offesi per essere rappresentati da una persona come Donald Trump: non tutti gli uomini negli spogliatoi delle palestre raccontano della volta che hanno messo le mani addosso a una bella donna. Molti, la maggior parte infatti, vogliono che le loro figlie, le loro sorelle, le loro compagne siano trattate con rispetto e con dignità.
Le ho detto che non dobbiamo vergognarci del nostro corpo o della nostra intelligenza, non dobbiamo essere noi a sentirci calpestate da questa mentalità maschilista. Le ho detto che sono loro nel torto, ma finalmente abbiamo una voce in capitolo, forte, e abbiamo, noi donne, il potere di decidere se vogliamo una persona alla Casa Bianca come Donald Trump. L’ho rassicurata sul fatto che il nostro voto, anche da solo, può sconfiggere questa mentalità. Ma che dobbiamo farci sentire, forti e chiare.
Ecco, pensavo, lavando la tazza: nella mia famiglia ha già vinto Hillary Clinton. Ha già vinto, sì, lo dico, perché è donna. E il suo essere donna insegna alle mie ragazze e alle ragazze là fuori che hanno timore di essere maltrattate dagli uomini che adesso basta, che adesso arriva una donna che rappresenta anche gli uomini, invece che l’inverso, per una volta. Una donna intelligente, forte, preparata e capace di dare un esempio enorme di legittimazione, che apre l’ultima porta a tutte noi.
È andata a scuola un po’ più sicura di sé, la mia piccola donna. È uscita, da sola, con la sua maglietta con la scritta FUTURE PRESIDENT che le ha regalato il suo papà. E ha camminato fino alla sua aula con la testa alta, con un rinnovato senso di potere e di fiducia nelle sue immense capacità intellettuali e nelle sue ambizioni.
Rimango a casa con il mio caffè e con la certezza che la politica può essere estremamente concreta, a volte. Può davvero cambiare chi siamo e come ci poniamo davanti al mondo.
E, come una scema, mi commuovo da sola.