Cosa è successo e cosa vi abbiamo raccontato finora: perché stavolta, tra Trump e Clinton, è tutto diverso e quella di novembre, per diventare presidente degli Stati Uniti, è la sfida che non avremmo immaginato
Ogni quattro anni, le elezioni americane aiutano i giornalisti di tutto il mondo a riempire pagine e pagine di opinioni, statistiche e fatti più o meno veri. I candidati sono sempre stati, fino ad ora, animali politici, esclusivamente uomini, esclusiavemte di centro destra o di centro sinistra. Poi è arrivato Obama a cambiare un po’ le cose, con la sua bellissima pelle nera. Ci sembrava una rivoluzione, e forse lo è stata.
Ma questa volta è tutto diverso.
I democratici hanno proposto due candidati completamente diversi. Da una parte Hillary, finalmente donna, finalmente progressista, femminista e giusta, ma simpatica a pochi, malata di voglia di potere e legata a un passato che puzza di vecchio, impregnata com’è in quella Washington ammuffita, con i suoi scandali e le sue radici nella Wall Street che tutti odiamo. A dire il vero, vorrei vederla vincere (ne ho scritto qui) come la popolazione nera ha voluto vedere vincere un nero come Obama che la rappresentasse: mi piacerebbe che mi rappresentasse una persona che può spiegare alla generazione che sta crescendo , come le mie due figlie, che anche le donne possono diventare presidentesse americane, anche se non sopporto questo suo modo di mostrare che anche le donne hanno le palle facendo la guerrafondaia.
Poi c’era Bernie, a mio parere molto più rivoluzionario di un candidato donna: si autodefinisce socialista, è ebreo, e propone un’America molto più simile a un Paese dell’Europa del Nord prima che gli immigrati di pelle scura e poveri tirassero fuori dai nordici il vero lato della destra razzista. Populista, ma anti tutto quello che non piace a noi. Demagogo e poco realista, purtroppo: l’America non è ancora pronta per una sanità e un’istruzione pubbliche: troppi cambiamenti tutti in una volta, anche se i cambiamenti sono sacrosanti. Obama in otto anni non è riuscito neanche a chiudere Guantanamo, figuriamoci se Bernie Sanders riesce a creare un sistema di sanità pubblica. Peccato: la mia speranza è che l’America un giorno possa essere quella descritta da lui, ma credo che ci vorranno ancora tanti anni per arrivarci.
Purtroppo il contrasto tra i due è tale che molte delle persone che avrebbero votato per Sanders davvero non sopportano la Clinton, davvero sono stufi della solita politica di centro, liberale per finta e esageratamente politically correct ma senza un programma che affronti veramente i problemi sociali del Paese: la brutalità della polizia (ne abbiamo scritto qui) il gap sempre più drammatico tra bianchi e neri, tra poveri e ricchi, tra gli haves e gli have nots, come si dice da queste parti. Risultato? Molti democratici non andranno a votare, mentre qualcuno, senza dirlo in giro che si vergogna, voterà per l’altra schiera.
E dall’altra parte, invece, tra i repubblicani, c’è stato il circo: Jeb Bush, il fratello sfigato; Ben Carson, il neurologo nero che ama le teorie complottistiche; Cruz, fondamentalista cristiano anti gay; Carly Fiorina, donna come se fosse una colpa, che ha fatto fallire tutto quello a cui ha partecipato; Chris Christie, che crede che l’undici settembre sia successo per fare dimostrare al mondo che lui, con il suo Stato in mano alla polizia e i suoi pregiudizi contro le minoranze, ha risolto tutto con le sue mani; Rand Paul, demagogo ignorante e presuntuoso. E poi lui, il re del mondo immobiliare di New York, re dell’America dei campi da golf e dei villaggi turistici per miliardari, il re delle contraddizioni, che ha usato la politica di destra e di sinistra solo per ottenere favori personali, che non ha problemi a essere dalla parte del Ku Klux Klan e dell’NRA (National Rifle Association), anti-immigrazione, pronto a innalzare muri al confine del Messico e a estradare undici milioni di americani di origine araba. Razzista, ma con la moglie che ruba parola per parola il discorso di Michelle Obama, per dire. Berlusconi in confronto, con tutto il suo bunga-bunga e gli incontri con la ‘nipote di Mubarak’, sembra un chierichetto.
Insomma, questa volta le elezioni sono davvero diverse da quelle che sono state fino ad ora: un candidato quasi normale, ma donna e femminista, contro un candidato improbabile e ignorante, che nessuno immaginava sarebbe arrivato a questo punto.
Vivo da nove anni a Cambridge, una città che il mio professore di sociologia una volta ha definito una bolla di sapone, separata da quello che rappresenta l’America vera. A Cambridge sono tutti alternativi, fricchettoni, intellettuali di sinistra: il sindaco, donna, era musulmana, nera e gay, per dire. Le multe arrivano con posizioni yoga da fare per calmare la rabbia di aver parcheggiato in doppia fila. Ha ragione Alex Vitale: In Alabama, in West Virginia, dove ci sono le miniere e i poveri veri, che non hanno possibilità di rivincita sociale, i discorsi alla fermata dell’autobus sono ben diversi da quelli che sento alla fermata del mio 49 che mi porta fino in centro in un attimo.
Finora ho conosciuto solo due persone che votano Trump: uno è un francese talmente innamorato di Sanders e talmente insofferente della Clinton che per farle dispetto ha deciso di votare Trump. Gli ho detto che sicuramente Hillary non prenderà sonno per colpa sua, mentre le minoranze avranno a che fare, grazie alla sua vendetta personale, con uno pseudo-nazista. Thank you very much, gli diranno mentre verranno cacciati dal Paese in cui sono scappati per le guerre finanziate dagli USA. L’altro è un secondino in una prigione vicino a Boston, che crede che quando si dovrà combattere il nemico, i cittadini americani dovranno essere pronti con il loro kalashnikov e le loro armi perché non ci si può fidare del governo, che ha altri interessi che difendere i cittadini. Non so mai come rispondere quando lo dice, perché abbiamo proprio una concezione diversa della realtà. Voglio comunque dire che, tra parentesi, che malgrado le sue idee politiche, gli voglio bene.
Spero però che sia lui, e non io, a essere deluso a novembre.
Immagine di copertina di Canadian Pacific