Una grande mostra a Torino (GAM e Castello di Rivoli) affronta un tema apparentemente banale: il colore e il suo rapporto con l’emozione. Tra riflessione scientifica e creatività, un percorso ricchissimo che parte da Newton e Goethe, passa per Klee e Kandinskij, e arriva ad oggi.
I colori nell’arte. Che mostra può essere? Penso al rosso degli affreschi di Pompei, al blu della cappella Scrovegni di Giotto, al giallo (oro) del duomo di Monreale. E poi alle centinaia di artisti pubblicati da quella geniale collana d’arte – una delle prime del genere – che ha creato dimestichezza tra il vasto pubblico e i temi dell’arte: I maestri del colore, pubblicati dai Fratelli Fabbri a partire dal 1963 e poi più volte ripresi fino agli anni Novanta del secolo scorso.
In realtà la mostra – che si tiene a Torino fino al 23 luglio alla Gam e al Castello di Rivoli – affronta un aspetto particolare del rapporto – apparentemente elementare – tra l’arte e i colori: le emozioni.
Si tratta di una rassegna, molto affascinante, che in ultima analisi prende in esame il rapporto tra scienza e creatività. Si inscrive in quel segmento di ricerca – molto caro a certa pubblicistica anglosassone –che esplora le relazioni profonde tra cultura e bios: tra l’aspetto antropologico dell’espressività umana e le “regole” scientifiche cui l’uomo necessariamente sottostà.
La mostra comincia dunque con gli studi di Isaac Newton sfociati, nel 1704, nel volume Optik sintetizzabili nell’affermazione dello scienziato: “Tutti i colori dell’universo sono prodotti della luce e non dipendono dal potere dell’immaginazione”. A questa teoria “aridamente scientifica” si oppone Johann Wolfgang von Goethe, che proprio in chiave antinewtoniana pubblica nel 1810 La teoria dei colori, nel quale scrive: “[…] L’occhio non vede alcuna forma, in quanto soltanto chiaro, scuro e colore stabiliscono insieme ciò che distingue un oggetto dall’altro… Sulla base di questi tre momenti costruiamo il mondo visibile rendendo così contemporaneamente possibile la pittura, capace di creare sulla tela un mondo visibile assai più compiuto di quanto possa essere quello reale…”.
Sono due modi diametralmente opposti di vedere il mondo. Il primo privilegia rifrazioni e onde magnetiche, il secondo fa perno sulla sensibilità umana, sulla capacità di percezione, sull’emozione, appunto.
La teoria di Newton è ancora oggi di estrema attualità da un punto di vista scientifico, ma le ultime tendenze epistemologiche tendono ad avvicinarsi maggiormente al punto di vista del poeta: rifrazioni e onde ci sono, ovvio. E più recentemente coni e aree cerebrali. Ma la percezione individuale è composta da un mosaico di elementi che ne condizionano la qualità: in questo mosaico trovano posto l’emotività individuale, le esperienze profonde, la memoria.
Estetica d’altronde viene dal greco aisthesis, capacità sensibile.
Nel corso dell’Ottocento la teoria di Goethe ebbe immensa fortuna tra gli artisti più attenti alle nuove scoperte come quelle di Michel-Eugène Chevreul che influenzarono pointillistes e divisionisti.
La teoria dei colori arriva – via Wittgenstein – a Rudolf Steiner, fondatore dell’antroposofia. E prima ancora a Madame Blavatsky che nel 1875 fonda la società teosofica che tanta influenza doveva avere su artisti come Klee e Kandinskij.
Un ruolo importante gioca in questo passaggio la ricerca di due studiose: Annie Besant (che sarà presidente della società teosofica dal 1907 al 1933, anno della morte) sulle forme-pensiero (Thought-Forms) e Bracha L. Ettinger (1948), psicanalista e artista, studiosa dell’impatto dell’arte sull’emotività e analista dell’arte-terapia.
Ed è qui che si fa esplicito il fine ultimo della ricerca dei curatori della mostra: l’“invenzione” dell’astrattismo, della rottura di Klee, Kandinskij, Malevic, Mondrian non è – o almeno, non è soltanto – un’evoluzione formale, una questione di stile. È prima di tutto una scelta interiore, un’elaborazione personale, uno sbocco spirituale.
In un certo senso il campione di questa rottura rimane Vasilij Kandinskij che proprio con il suo Lo spirituale nell’arte compone il manifesto di questa nuova sensibilità. Ma il primo artista che comprende fino in fondo la lezione di Goethe è William Turner presente in mostra con tre piccoli acquerelli di cui il Sunrise, perhaps at Margate, del 1840 è una specie di compendio su carta della Teoria dei colori. Un passo, forse decisivo, verso l’astrazione.
E prima ancora di Kandinskij, e in forma non teorica ma materiale, è Paul Klee a guidare il nuovo movimento: cosa resa evidente in mostra dalle sue matite dal titolo Teoria della configurazione pittorica felicemente accostate ad alcune pitture Yantra e Tantra.
C’è molta India nella ricerca dei teosofi, e grande desiderio di uscire dai canoni dell’estetica europea. A farne fede sono presenti in mostra – interessanti davvero – due dipinti di artisti aborigeni australiani contemporanei.
I quadri presenti nelle due sedi sono 400 e la qualità degli artisti impressionante.
Penso che la selezione abbia privilegiato proprio coloro che siano riusciti a sintetizzare in maniera più esplicita l’espressione artistica con la propria sensibilità poetica.
E quindi da Manet, Munch, Matisse, si passa ai divisionisti (Russolo, Pellizza) al puro astrattismo di Kandinskij, Klee, Mondrian (con un quadro figurativo composto di puro colore), Itten; alla ricerca più esoterica: il musicista Ciurlionis, Kupka, Picabia, Sonia Delaunay e via via fino ai giorni nostri.
Particolarmente di rilievo la presenza di Hans Hofmann, padre di tutto l’espressionismo astratto americano.
Gli artisti del dopoguerra si misurano con nuovi mezzi espressivi: belle le sperimentazioni di Dan Flavin, Carlos Cruz-Diez, Olafur Eliasson, James Turrell con le luci, di Schifano, Turcato, Spalletti con i nuovi pigmenti, degli inglesi Cragg, Kapoor, Hirst con i nuovi materiali.
Degli artisti più recenti mi hanno colpito tre donne: l’italiana Maria Morganti, la turca Asli Cavusoglu, l’afroamericana Otabong Nkanga tutte e tre alle prese con il più viscerale dei colori.
E per finire va citato Gustav Metzger, scomparso quest’anno e cui la mostra è dedicata. Nel 1966 conosce i cristalli liquidi: prima che diventassero la base dei moderni televisori a colori l’artista ne comprende le straordinarie potenzialità espressive. L’installazione Supportive con 7 proiettori di diapositive Kodak crea un ambiente in cui curiosità, sperimentazione e creatività umana e nuovi mezzi tecnologici sono in grado di ricomporre magicamente i due poli del fare arte: tecnica e immaginazione.
L’emozione dei colori nell’arte, Torino, GAM e Castello di Rivoli, fino al 23 luglio.