Goran Radovanović, bravo documentarista serbo, racconta ancora una volta le asprezze e i drammi della convivenza multi-etnica nella ex Jugoslavia dei primi anni Duemila, poco dopo la fine conflitto balcanico. Ma lo fa dalla prospettiva, speciale, di due ragazzini divisi dalla razza e da un odio atavico, che scelgono, dopo essersi scontrati duramente, di abbandonare i conflitti storici e familiari, complice una tavoletta di cioccolato. In una terra ancora divisa e “occupata a fin di bene” dall’Occidente
Lo scenario post-bellico di un Kosovo ridotto ormai in morti e macerie fa da cornice a Enclave, la nuova pellicola del regista serbo Goran Radovanović, autore finora di vari documentari e di un film di fiction sul suo paese e sull’Est europeo in difficoltà economico-sociali, e di un reportage sulla Cuba d’oggi. Questo ultimo Enclave è una storia realistica e poetica, che indaga su temi importanti: il rapporto tra l’individuo e la sua identità culturale, la difficile convivenza tra comunità diverse e il presente dei pochi che sono sopravvissuti al terribile conflitto balcanico degli anni ’90.
Ai titoli di testa si sovrappone subito la voce fuori campo di Nenad (Filip Subarić), bambino serbo che vive a Vrelo, piccola enclave cristiana in Kosovo, e ogni mattina, per l’ostilità dell’ambiente circostante, deve andare a scuola dentro un blindato dell’Onu: le sue parole immergono lo spettatore nel racconto, creando da subito una forte empatia col piccolo e focalizzando l’attenzione sulla storia che egli stesso sta per raccontare. Il vissuto di Nenad, il compito sul migliore amico assegnatogli dalla maestra, si trasformano così in un establishing shot attraverso il quale Radovanović presenta il giovanissimo primattore e il suo rapporto col territorio e le persone con cui si relaziona. Nenad non ha nessun amico con cui giocare, nel suo villaggio è rimasto l’unico bambino e anche l’unico scolaro; vive in una piccola casa col padre Voja (Nebojša Glogovac), e il nonno Milutin (Anica Dobra) gravemente malato, il suo solo compagno di giochi.
Gli altri bambini del villaggio sono albanesi musulmani, e tra loro e Nenad corre un sentimento di risentimento e odio generati dal conflitto, basati sulla paura di ciò che è diverso, ormai insita tra le due comunità etniche. Ma grazie al gioco, alla spontaneità e a una semplice tavoletta di cioccolato, il piccolo protagonista riesce a conquistare l’amicizia di Baskim (Denis Murić), ragazzino assai rancoroso nei confronti della sparuta popolazione serba, che ritiene responsabile in toto della morte del padre. Baskim ha ereditato dal genitore la forte ostilità, un paio di scarpe molto più grandi della sua misura e una pistola, che presto punta con prepotenza e spavalderia contro Nenad, semplicemente per costringerlo a fare la conta a nascondino.
Sin da subito i bambini di Radovanović sviluppano il senso del “dover fare” e del “dover dire” imparandolo dai discorsi, dalle attività degli adulti, da ciò che hanno imposto e deciso su e per loro. Costretti a responsabilità che esulano dalla loro tenera età, i ragazzini crescono così in fretta: Baskim prende il “posto” del defunto padre ereditando il mestiere del pastore e molto altro, e Nenad, persi gli indumenti durante un raro e naturale momento di svago, è obbligato a indossare i calzoni del papà, enormi per il suo corpicino. Enclave racconta così il post Kosovo di inizio Duemila attraverso l’amicizia dei due (e anche di altri) bambini: la loro voce, le lacrime e i giochi sono lo specchio di ciò che è rimasto in quella terra in cui tutto appare ormai crollato – l’identità individuale, le case, i luoghi di culto – e dove è impossibile instaurare un dialogo pacifico tra culture diverse che dividono lo stesso territorio.
Guerra e sofferenza, dolore e separazione, fanno sprofondare lo spettatore nell’abisso dell’interiorità dei personaggi, che vogliono riassaporare, vivere di nuovo la rassicurante noia della vita quotidiana, della routine fatta di cose normali, e per questo sono disposti a dismettere qualsiasi comportamento che possa risultare prepotente, offensivo. Fortemente affascinato dall’infanzia, tempo breve ma intenso della vita, Radovanović col suo film vuole trasmettere un semplice, incisivo messaggio di speranza e convivenza tra comunità così distanti e ostili tra loro. È sempre difficile raccontare il profondo dolore di un bambino davanti alla malattia e alla guerra, realtà quasi incomprensibili per lui: il regista sceglie di affidarsi alle immagini di una terra saccheggiata e al dettaglio di una lacrima che lentamente solca il viso di Nenad.
I due piccoli protagonisti di Enclave, Nenad e Baskim, compiono un gesto inimmaginabile per gli adulti, avvicinarsi all'”altro” sino a instaurare un rapporto di fiducia e riconoscenza reciproca. E quella tavoletta che diventa il sigillo della loro amicizia, ma che nessuno dei due in realtà la mangerà, vuole quasi significare che a loro, nati e cresciuti in quell’enclave, non è concesso nemmeno il sapore dolce del cioccolato, in una vita amara e priva di sentimenti positivi: perché il pensiero della sofferenza e della morte si incunea perfino nei momenti di speranza. Però il regista rimette alla fine nelle mani dei due bambini la possibilità di scegliere: riprodurre l’odio o dare un piccolo, ma significativo segnale di cambiamento al corso della Storia.
Enclave di Goran Radovanović con Filip Subaric, Denis Muric, Nebojša Glogovac, Anica Dobra, Meto Jovanovski, Cun Lajçi