Enrico Finzi racconta da protagonista gli anni del boom quando «dilagava la speranza che ora latita». In un paesaggio di luoghi, tradizioni e affetti
Enrico Finzi è stato docente universitario, giornalista, sociologo, uomo di marketing, ricercatore sociale… A 68 anni ha ceduto a uno dei suoi figli l’istituto di ricerche che aveva fondato per reinventarsi scrittore. Non di saggi, ma di fiction. Esordendo, come spesso accade, con la ricostruzione di un pezzo della sua vita, quello compreso tra il 24 settembre 1949, ultimo giorno di vacanza di un bambino che sta per entrare all’asilo, e il 31 dicembre 1972, quando un uomo scopre che diventerà padre.
In mezzo, i suoi «trucchi», dai piccoli espedienti escogitati per superare le difficoltà quotidiane ai veri inganni allestiti per sopravvivere o nascondere la realtà. Questa la trama sulla quale Finzi intesse La vita è piena di trucchi che nel suo scorrere ne muta natura e conseguenze.
Un racconto cronologico e lineare nel quale si affacciano materiali biografici e personaggi che, da soli, potrebbero svilupparsi in altrettanti racconti e che nel loro intrecciarsi restituiscono anche il panorama politico e sociale dell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta così diversa da quella attuale: «La differenza chiave è la speranza che allora dilagava e ora latita: se confronto il presente di allora e quello odierno, malgrado tutto dobbiamo riconoscere che il paese ora è più ricco, sano, istruito. Ma se consideriamo il futuro atteso, tutto si rovescia».
Non si tratta però di concluderne con l’amaro aforisma di Valéry che «il futuro non è più quello di una volta», ma piuttosto di verificare nel racconto come anche in quegli anni «il miglior modo per predire il futuro, sia inventarlo» come afferma, oggi, l’informatico Alan Kay. E come fosse, relativamente, facile farlo allora a Milano, oggi a Palo Alto.
Considerazioni che costringerebbero Finzi a tornare al suo ruolo di sociologo, tradendone la reale narrazione. Che è, naturalmente, fatta di luoghi scomparsi dalla geografia cittadina, costumi e tradizioni usurate, affetti consumati, storiche passioni e culture. Perché nello scorrere le sue pagine, un ruolo decisivo, accanto agli amori e alla famiglia, mantiene la passione politica social-comunista variamente e a volte imprevedibilmente coniugata con una tradizione ebraica «senza Dio», «innervata di taluni valori chiave, ciascuno dei quali non esclusivo dei giudei ma il cui mix forse lo è stato e lo è».
Non solo riflessa e spesso autoironica nostalgia, dunque, in questo classico “momoir”, ma anche i germi di una realtà che impareremo a conoscere fin troppo bene come quando, soldato di leva, in caserma, «studio la vera mappa del potere in Italia, essendo stato destinato – in quanto laureato – a un ufficio che si occupa solo delle raccomandazioni». La naja non esiste più, ma l’Italia dei segreti, delle raccomandazioni dei trucchi, quelli sporchi, le sopravvive.
“La vita è piena di trucchi” di Enrico Finzi (Bompiani, pp. 270, 17 euro, ebook 9,99)