L’attrice diventa regista portando sullo schermo “La figlia oscura”, uno dei primi romanzi della scrittrice dall’identità misteriosa. Un adattamento corretto e puntiglioso, che sta addosso ai personaggi , forse un po’ meno alle loro psicologie, e un cast di prim’ordine, Olivia Colman e Jessie Buckley in testa. Ma la burrascosa resa dei conti con il proprio passato della tranquilla professoressa americana Leda, non coglie fino in fondo l’equilibrio nevrotico di questa preziosa figura femminile
Leda (Olivia Colman), protagonista di La figlia oscura, esordio dietro la macchina da presa
dell’attrice Maggie Gyllenhaal, è una donna non più giovanissima e apparentemente risolta e
soddisfatta. Docente di letteratura in un’università americana, divorziata e con due figlie ormai
grandi e autosufficienti, arriva da sola su un’isola greca pronta a concedersi una bella vacanza
solitaria e tranquilla, nutrita di buone letture, bagni e passeggiate rilassanti. L’arrivo di una
grande famiglia di americani del Queens, rumorosi e arroganti, pronti a sventolare come una
medaglia al merito le loro origini greche e soprattutto i probabili legami con la malavita locale,
disturba la pace del luogo e manda letteralmente in frantumi la serenità di Leda, riportandole
alla memoria brandelli di passato e acuminate schegge di dolore.
A mettere in crisi la protagonista è soprattutto il rapporto che si instaura con Nina (Dakota
Johnson), una giovanissima madre che frequenta la sua stessa spiaggia e ben presto rivela
un’inquietante inadeguatezza nell’occuparsi della figlia, bambina indisponente e capricciosa,
o forse solo impaurita. Il gioco dei rispecchiamenti finirà col condurre Leda verso una
rischiosissima resa dei conti con sé stessa, man mano che riaffiorano le immagini di lei giovane
madre (e intellettuale ancora in cerca della sua strada nel mondo) alle prese con le figlie
bambine. Quello che all’inizio del film sembra nulla più che un banale tentativo di trarre bilanci da parte di una donna matura alle prese con le contraddizioni e le malinconie dell’età, diventa una spietata
e dolorosa operazione di analisi e scavo, dentro una vita più o meno riuscita e felice, ma anche e soprattutto dentro l’idea di madre che la nostra società ci propone, e troppo spesso impone.