Caryl Churchill, all’Elfo un’opera della drammaturga britannica: «Settimo cielo»
In questi giorni al Teatro Elfo Puccini è in scena Settimo Cielo, testo di una delle più importanti drammaturghe inglesi contemporanee, Caryl Churchill, stranamente mai portato in scena in Italia. In questo viaggio negli usi e costumi della società britannica siamo accompagnati dalle vicende di una famiglia inglese e insieme ad essa ci troviamo a vivere due periodi storici molto differenti, lo spettacolo, infatti, è diviso in due atti, ben connotati da due periodi storici differenti e definiti. Nel primo ci troviamo nell’Africa coloniale del 1879, nel secondo, con un salto temporale di un secolo, ci trasferiamo nella Londra della ribellione punk del 1979, sul piano della storia invece sembrano passare appena 25 anni, ma la cosa non disturba la comprensione anzi aiuta lo spettatore a riflettere sui temi cari alla drammaturga, da sempre impegnata sostenitrice delle tematiche femminili.
Nel primo atto siamo quindi in Africa, con gli attori che interpretano ruoli invertiti rispetto alle sessualità supposte, gli uomini infatti sono interpretati da donne e viceversa, come i neri dai bianchi, in questo cross casting, voluto dalla stessa Caryl Churchill, lo spettatore riesce a cogliere quanto la cultura inglese di allora fosse omofoba e come non considerasse le donne esseri pensanti. Tutta l’atmosfera di questa prima parte è connotata da continui dardi avvelenati contro rapporti omosessuali, dalla sottomissione degli indigeni e dal patriottismo.
Ad arricchire questa prima parte sono presenti diversi elementi comici e grotteschi caricati da note di humor inglese, caricaturali risultano anche i costumi, con elementi che ricordano l’epoca ma non interamente collocabili in quel preciso periodo storico.
Nel secondo atto, ci troviamo nella Londra post rivoluzione sessuale ad assistere ad una ribellione verso il rigore imposto dalla Tatcher, la cui gigantografia appare sul fondo della scena, anche qui con un pizzico di grottesco. L’affermazione della donna e della sua indipendenza, il sesso vissuto liberamente dai legami sociali e dalle istituzioni che impongono determinati schemi vengono aiutati ad emergere dalla rinnovata inversione dei personaggi. Ora che possono parlare i più deboli ,donne e omosessuali, i sessi sono di nuovo come appaiono (le donne interpretano le donne e gli uomini gli uomini (con qualche eccezione).
Giorgina Pi nel suo lavoro mantiene saldo l’impeto del movimento delle donne e degli omosessuali in quegli anni in Inghilterra, con la Tatcher diventata primo ministro ci mostra come l’immagine della coppia e della famiglia vive un tentativo di ridefinizione delle proprie identità, superando o almeno provandoci i ruoli che sono stati assegnati loro.
La stessa regista afferma
Essere quello che si vuole essere, non quello che si può. È il divenire postumano che modifica luoghi e relazioni.
La macchina narrativa del testo è complessa e lo spettacolo risulta volutamente eccessivo e grottesco in alcuni punti risvegliando un gusto di teatro inglese che anche in Italia ultimamente sta prendendo piede, anche gli intermezzi musicali, decisamente sperimentali come ci si può aspettare da una collaborazione con un collettivo come quello dell’Angelo Mai risultano un’importante cifra stilistica dello spettacolo.
Quarant’anni dopo la scrittura di questo testo ci rendiamo conto di quanto ancora sia forte l’esigenza di difendere la propria libertà sessuale e non. Le politiche del sesso allora come ora sono temi ancora caldi e la strada per sciogliere ingiustizie, condizionamenti e soprusi delle donne e dei movimenti LGBTIQ ancora lunga.
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