“L’estate infinita” di Edoardo Nesi è quella italiana degli anni ’70, raccontata con spirito un po’ naif e nostalgico dei bei tempi andati
Tra caldi epici e ricadute novembrine, anche quest’anno siamo arrivati alla metà di giugno. I maturandi lottano contro la terza prova, e io mi ritrovo a sognare eterni pomeriggi in spiaggia, in compagnia di un bel romanzone italiano. E quale libro migliore di L’estate infinita di Edoardo Nesi per amplificare la mia già preoccupante voglia di vacanza?
L’atmosfera del libro è perfettamente intonata al titolo: fin dalle prime pagine, si respira il clima rarefatto delle interminabili estati dell’infanzia… quelle in cui sei sereno, e sprechi un sacco di tempo, ma fai anche un sacco di cose, e comunque non riesci a pensare a settembre, all’autunno e alla scuola.
L’estate infinita dell’opera è quella dell’Italia degli anni Settanta. Una specie di isola felice, in cui chiunque può arricchirsi e coronare i propri sogni, a patto – questo sì – di lavorare come un matto. E in effetti i protagonisti di questa mirabolante avventura (per lo meno gli uomini) si danno parecchio da fare: c’è Ivo Barrocciai, (già protagonista di L’età dell’oro del 2006) il giovane imprenditore che vuole trasformare la piccola azienda di famiglia in una grande azienda, trasferendola in una fabbrica tanto immensa e lussuosa “da far invidia ai milanesi”. C’è Cesare Vezzosi – detto “il Bestia” – campione indiscusso dei tennisti non classificati, e responsabile dei lavori per la realizzazione di questo faraonico cantiere. E poi c’è Pasquale Citarella, “marrocchino” emigrato dal sud, imbianchino promosso capocantiere, di nobilissimi sentimenti, concentrato a costruire la propria fortuna mattone per mattone.
Per tutta la durata del romanzo, i tre vorticano su una giostra di lavoro incessante, con giornate di venti ore, fatte di grane, riunioni, viaggi e imprevisti, che però magicamente si risolvono a colpi di buona volontà e speranza nel progresso, sempre e comunque, non importa a spese di chi. La speranza e la volontà di farcela – nel mondo dipinto da Nesi – si trasformano in possibilità di riuscita e di realizzazione.
E qui cominciano i dubbi. Il romanzo è stato definito addirittura “una macchina del tempo”, quindi immagino – non essendoci stata – che riproponga fedelmente l’entusiasmo che si respirava negli anni Settanta; il desiderio di rivalsa di un mondo in cui nessuno si sentiva condannato a essere povero per sempre. Bello, per carità (avercene, oggi, di quella fiducia nel domani…), ma anche incosciente. Perché, in controluce, nell’imprenditoria senza scrupoli (e senza dichiarazione dei redditi) dei protagonisti, i nostri occhi del 2015 non possono non vedere le cause dell’attuale crisi. E allora mi chiedo: si può raccontare lo spirito naif e ottimista di quei tempi, senza quasi menzionare gli imbrogli, le irregolarità, lo stress e le delusioni che senz’altro accompagnavano i suoi giorni? Per un Ivo Barrocciai che riusciva, ce ne sarà stato almeno uno che incontrava qualche difficoltà… Invece, il mondo che Nesi presenta al lettore semplicisticamente non contempla la possibilità del fallimento, né dell’infelicità.
Il risultato non è quindi il ritratto fedele di una società giustamente appagata, ma soltanto un nostalgico affresco dipinto da qualcuno che, nel rimpianto dei bei tempi andati, non riesce ad andare in profondità con il racconto.
Ecco allora che le uniche delusioni a cui assistiamo, rigorosamente sentimentali, ora della fine si ricompongono alla luce degli sfavillanti successi aziendali. In fondo – sembra dirci l’autore – cosa sarà mai un po’ di mal d’amore quando puoi sorseggiare Dom Perignon a volontà?
L’estate infinita, Edoardo Nesi (Bompiani, 2015, pp. 480, 1)
Immagine: Holidays di Eole Wind