“La psiche umana? So’ cazzi!”: piccolo esempio di quanto era grande Scola. Ridendo e scherzando con il suo cinema ci ha raccontato l’Italia, Ridendo e scherzando è il titolo del doc realizzato dalle sue figlie
«L’articolo uno della legge dei produttori? Facce ride. Quando ho cominciato a lavorare nel cinema “Fateci ridere” era il primo comandamento del mestiere di sceneggiatore. Così ci sedevamo davanti a loro, gli davamo una decina di battute da mettere nel film, e poi intorno costruivamo la storia che volevamo noi». Si può ricordare una persona amata che se ne va, col sorriso sulle labbra? O addirittura Ridendo e scherzando? Si, se parliamo del maestro dell’ironia, Ettore Scola, che ci ha lasciati qualche giorno fa. E ancor di più se a firmare il film che ha quel titolo così allegro, sono le sue due figlie Paola e Silvia, scrittrici e sceneggiatrici a loro volta.
In uscita l’1 e 2 febbraio nelle sale grazie alla 01 Distribution, dopo il passaggio alla Festa di Roma 2015, questo omaggio all’ultimo grande protagonista dalla commedia all’italiana è una lunga intervista, ambientata nel piccolissimo Cinema dei Bambini di Villa Borghese, in cui questo straordinario disegnatore, prolifico sceneggiatore, premiatissimo regista (4 nomination all’Oscar, e una trentina di riconoscimenti tra Berlino, Cannes, Venezia, Cesars, David, Nastri…), si racconta con un garbo e una semplicità unici. E spiega come ha rappresentato, e spesso deriso, ma quasi sempre con un grande affetto per i suoi personaggi, i vizi nazionali e le virtù personali, affrontando con la battuta sempre pronta anche temi tosti come la miseria e l’onestà, l’amicizia e l’amore, la passione politica (“che viene sempre e solo con la passione per gli uomini”), il disincanto del passare degli anni e la speranza di salvare almeno la capacità di capirsi, tra umani.
E mentre l’affettuoso e deferente collega Pif cerca di farsi raccontare segreti, curiosità e trucchi di una carriera di cineasta lunga e divertente, che ha fatto la storia dell’immagine e anche del costume italiano, grazie a film come Dramma della gelosia, C’eravamo tanto amati, La terrazza, Brutti sporchi e cattivi, Maccheroni e tanfi altri, scorrono le immagini dello Scola pubblico e privato, le interviste ai festival (con delizioso siparietto sui finali: “dunque, ci siamo detti tutto, no…”, e subito via, alla lontana dai giornalisti che amava ma rifuggiva), i filmini in super-8 nel giardino di casa, il backstage dei film e le vignette puntute.
Anche Ridendo e scherzando non delude il comandamento n. 1 del cinema, divertire. Qualche esempio fulminante? La psiche umana? “So’ cazzi”. I marziani? “Gente simpatica, pratica, alla buona, coi piedi per Marte”. “La terrazza? Scrissero che era diviso in 6 serate, invece era la stessa ma ripresa da sei angolazioni diverse, non se n’erano accorti”.
Ma Scola sapeva dire, sempre sdrammatizzando, anche cose serie. A Roma, presentando al Festival il film, ammise di aver accettato di farlo nonostante la sua istintiva “paura della retorica, della celebrazione, della commemorazione. Ho orrore delle sicurezze, della mancanza di dubbi, dell’autostima. Se l’Italia partisse dai propri limiti invece che dalle proprie virtù, andrebbe meglio. La sicurezza è una brutta bestia”. Aggiungendo che l’aveva comunque rassicurato il fatto che le sue due figlie avessero evidentemente “ereditato da me la paura della seriosità e l’ironia con cui guardare il mondo”.
Ridendo e scherzando ha richiesto tre anni di lavoro tra ricerca e selezione del materiale, che in gran parte viene dagli archivi dell’Istituto Luce e dalle teche Rai, e tre stesure di sceneggiatura. Spazia dagli esordi di uno Scola ventenne che firma vignette al giornale satirico Marc’Aurelio, «dove ho avuto il privilegio di conoscere persone migliori di me come Fellini» (a lui ha dedicato tre anni fa il suo ultimo, bellissimo film Che strano chiamarsi Federico, altro documentario), alla scelta di dirigere: «che è colpa di Gassman, fu lui a spingermi a fare il regista, il mestiere dei bugiardi. Tutti sul set ti fanno domande e devi fingere di sapere tutto». Aggiunge, Ettore, che «Il segreto è essere un po’ ladri: io per esempio ho rubato da tutti», da Vittorio De Sica, che per lui era il numero uno (“è un modello al quale si tende senza arrivarci”), a Sergio Amidei, che insegnò a un’intera generazione come si scrive un film.
Con il gusto di lavorare con Mastroianni, Manfredi, Sordi (“è la persona con cui mi sono divertito di più in assoluto”), emerge anche lo struggente ricordo di un’impossibile collaborazione, Pierpaolo Pasolini: «Stavo girando, a 10 anni da Accattone, Brutti sporchi e cattivi, e avevo pensato come si fa nei libri di chiedergli una sorta di prefazione, per immagini. Ma proprio nell’ultima settimana delle nostre riprese, mentre lui avrebbe dovuto iniziare a pensare come poteva essere il suo contributo, arrivò la notizia che era morto. A poche centinaia di metri dal set in cui eravamo noi».
Il film si congeda con un divertente scambio. Pif gli ricorda quando, all’inizio della sua vita di regista, confessò a qualcuno «Non so se diventare Risi o Rosi», e affettuosamente gli fu risposto «Diventi Scola». Lui, per chiudere in bellezza questa sua non-celebrazione, saluta il giovane interlocutore con un: «Per me è stato un onore, lavorare con…. Scola».