Le città degli altri: a Genova per scoprire, in una completa retrospettiva, il ‘proteiforme ingenio’ di un pittore che a 95 anni ha ancora voglia di sperimentare
Ho incontrato Eugenio Carmi prima della sua grande retrospettiva a Palazzo Ducale di Genova e mi ha suggerito questa frase che Renzo Piano aveva scritto per una sua mostra a Los Angeles nel 2010, perché ci si riconosceva.
Lo sanno tutti che ci sono cose come la luce, il colore, le vibrazioni dell’acqua, che restano intrappolate nelle dita delle mani e quelli che nascono e vivono a Genova non se ne liberano più. D’altronde, il Mediterraneo non è un mare, ma un brodo di cultura che ha registrato per secoli luci e colori e che ora li restituisce a quelli che hanno occhi per vederli. Carmi è uno di questi. Ed è questo che me lo fa sentire così vicino.
Il suo grande studio di Milano, in una vecchia casa che dà su Porta Romana, gli assomiglia. Un po’ dappertutto, appesi, accatastati in un disordine solo apparente, quadri, multipli e manifesti fin dagli anni quaranta, scaffali fino al soffitto pieni di cataloghi, libri, stanze luminose che si aprono sul viale alberato con scrivanie vecchie e nuove tutte ricoperte di disegni, con opere su cavalletti a cui sta lavorando.
Sorride: «Sa che compio novantacinque anni?». I suoi occhi azzurrissimi sprizzano vitalità, intelligenza.
Mi mostra un mosaico che ha fatto con gli allievi della Scuola del Mosaico di Ravenna, gli piace ancora confrontarsi coi giovani, insegnare e ascoltare. Sorprende la sua curiosità intellettuale. Tutto diventa spunto per una riflessione.
Quel che colpisce nella sua vita è la voglia di capire il mondo e di rappresentarlo, si definisce fabbricante di immagini e colpisce anche la sua continua voglia di sperimentazione, di percorrere nuove vie.
Di solito un artista cerca una sua cifra stilistica e quando l’ha trovata, quando raggiunge un certo successo, ci resta legato per essere riconosciuto, perché il mercato lo richiede.
Carmi non l’ha mai fatto, non ha mai avuto paura di cimentarsi con tecniche e materiali mai provati, con multipli, latte litografate; ha lavorato per l’industria come designer e pubblicitario, ha scolpito, fatto video, disegnato tessuti e gioielli, costruito macchine elettroniche generatrici di immagini, insegnato in Università in tutto il mondo, illustrato libri con Umberto Eco e musica per Kathy Berberian.
La mostra di Genova e il catalogo SPEED LIMIT 40, curati da Nicoletta Pallini, espongono il suo percorso e riescono a darci una visione del suo proteiforme ingenio.
Cominciamo dall’inizio. Da Genova, dove nasce il 17 febbraio 1920: studia al liceo classico e dipinge. Nel 1938 si rifugia in Svizzera, a Zurigo dove si laurea in chimica al Politecnico. Finita la guerra, torna in Italia e riesce a entrare alla Scuola di Felice Casorati a Torino.
La mostra si apre con i suoi quadri figurativi, ispirati al maestro. Val la pena di parlarne perché non si sono quasi mai visti. Paesaggi geometrici dei caruggi genovesi e un ritratto della bellissima e amatissima moglie Kiki Vices Vinci, con cui condividerà per tutta la vita anche la passione per l’arte. Nel rigore della forma definita da linee nere asciutte, nella stesura piatta dei colori pastello, nella straordinaria bellezza delle labbra piene e degli occhi insieme enigmatici e dolci possiamo già indovinare il passaggio verso l’astrazione, con quella speciale caratteristica di Carmi che è la gioia, l’amore, il piacere che riesce a infondere nell’esprit de geometrie.
Nel 1956 si trasferisce a Boccadasse, borgo di pescatori alla periferia di Genova, dove nascono i quattro figli e dove fonda la Galleria del Deposito, una sorta di cooperativa di artisti e musicisti che vuol diffondere l’arte contemporanea a prezzi accessibili.
In questi anni sperimenta il linguaggio informale: straordinari collage in metallo, tela, carta, attraversati da segni che richiamano la calligrafia giapponese e insieme la musica, «sempre con una particolare dimensione emotiva», sottolinea Carmi. Negli stessi anni Gian Lupo Osti (che andrebbe riscoperto) lo chiama all’Italsider per creare una nuova e avveniristica immagine aziendale, come Adriano Olivetti a Ivrea.
Fra le tante iniziative, Carmi disegna una serie di cartelli antinfortunistici rivoluzionari: invece di indicare il ‘pericolo’ rappresentano la parte del corpo da proteggere: è l’uomo il centro; la grafica, i colori sono magnifici. Quanto sarebbero più belli ed efficaci di quelli in uso.
Nel ’71 poi si trasferisce a Milano e approfondisce il linguaggio geometrico, per cui è più noto. Quadrati, triangoli, cerchi coloratissimi si inseguono, sfuggono, si sovrappongono seguendo rigorose e gioiose armonie. La sua ricerca continua ed include il lavoro sulla sezione aurea, riscoperta pochi anni fa.
Un suggerimento: leggete i titoli delle opere, sono rivelatori e poetici.
Eugenio Carmi Speed Limit 40 Genova, Palazzo Ducale 27 febbraio – 17 maggio 2015, Catalogo Skira
Foto: courtesy Eugenio Carmi