Torna il balletto capolavoro di Manzotti e Marenco nella storica edizione che Filippo Crivelli allestì nel ’67 nella Firenze post alluvione con le coreografie di Ugo Dell’Ara e scene e costumi di Coltellacci
È il senso stesso della civiltà che danza nel ballo Excelsior. Civiltà come solidarietà tra i popoli, nella ripetizione del galop finale voluta dal regista Filippo Crivelli, con trionfanti bandiere da tutto il mondo che sventolano sullo sfondo celeste di Giulio Coltellacci – per eloquenti casualità coreografiche, tra tutte proprio una bandiera greca un po’ defilata attira l’attenzione.
È significativa la ripresa del ballettone di Manzotti e Marenco proprio in periodo Expo – alla Scala fino al 25 Luglio -, a cento trentaquattro anni dal debutto del 1881, in cui una “cugina” Esposizione Nazionale milanese si accontentava di un allestimento nei giardini di Porta Venezia.
Kitsch, nazionalpopolare, di cattivo gusto, Excelsior è bersaglio privilegiato di tanti snob che non ne tollerano le leggerezze e semplicità. Perché Excelsior è retorico, con le sue allegorie della civiltà e dell’oscurantismo che si inseguono per due secoli circa di storia della tecnica, dalle scoperte di Papin al traforo del Cenisio. Ma se non fosse retorico non avrebbe senso di esistere. Anzi di più, Excelsior ha la facoltà di rendere autentica la retorica.
Per la storica ripresa del 1967 al Maggio Musicale Fiorentino erano stati radunati Ugo Dell’Ara – per ricreare una coreografia a partire da quella di Manzotti -, Fiorenzo Carpi – per riorchestrare la partitura di Marenco – e Giulio Coltellacci – per scene e costumi. Il quarto era Filippo Crivelli, D’Artagnan della situazione, che in quattro mesi è riuscito a coordinare tutti portando infine in scena questo ballo monstrum, coronamento dell’incredibile stagione del Maggio post-alluvione del ‘66 – Fidelio di Strehler ed Egmont di Visconti solo per citare altre due produzioni di quell’anno.
L’impresa titanica era poi ulteriormente ostacolata dalla rivalità tra le due primedonne che si dividevano la scena. Due leggende della danza: Carla Fracci, la civiltà, prima ballerina in senso proprio, e Ludmilla Tchérina, la luce, principale ruolo mimico femminile. Va ricordato che dopo il coreodramma di Viganò di inizio Ottocento era diventata comune la divisione a metà delle compagnie italiane: ballo e pantomima, senza nessuna predominanza di lustro. Ma il ballo casca spesso nella vanità, e così anche la Tchérina voleva il suo passo a due.
«La Tchérina era bellissima – racconta Crivelli -, l’avevo vista nei Racconti di Hoffmann, nella scena di Venezia, e poi ovviamente in Scarpette rosse, dove faceva la diva, l’étoile. Mi sono chiesto “Sarà ancora viva?”. Scoprimmo che viveva a Parigi, sposata con un magnate libanese, e così io e Ugo partimmo per portarle lo spartito. Accettò dopo la promessa di un passo a due apposta per lei. Girava sempre con la sua femme de chambre e con un sacco rigurgitante scarpe da ballo che doveva cambiare a ogni scena, per il peso del piede che pare si riempisse di cotone. E quando si riferiva alla Fracci la chiamava sempre “Cette petite famme-là”». Ma le difficoltà con le due dive non finivano qui, e riguardavano principalmente i costumi. «Umberto Tirelli era il migliore di tutti per i busti, e la Fracci se ne fece cambiare nove! Quanto a Coltellacci, esasperato dalle esigenze della Tchérina finì per dichiararsi sconfitto, “Madame, ricami lei il busto, perché io non sono all’altezza sua”, prima di chiuderle la porta in faccia». Ma è chiaro che questi buffi battibecchi hanno solo reso l’avventura ancora più festosa, confermando che in certi casi la fretta è un’ottima consigliera.
Snellito rispetto alle esagerazioni ottocentesche, Excelsior è ancora fresco e divertente dopo quasi cinquant’anni di repliche. La gustosa ironia di fondo, cifra artistica di tanti spettacoli di Crivelli – dalle opere buffe settecentesche al suo meraviglioso Pierrot Lunaire di Schönberg – riesce a rendere ancora attuale uno spettacolo che altrimenti non avrebbe più senso di continuare. «È un divertente viaggio nel passato che non va trasformato in dissacrazione, dato che è facilissimo cadere nella farsa. Tirare fuori da Excelsior l’ironia e la leggerezza è stato come vedere un quadro della belle époque, dove si trovano difetti sorprendenti e di tutti i generi, ma talmente miscelati a un sentimento nostalgico che alla fine resta solo tanto rispetto. Io lavoro spesso su una chiave di rimpianto, di fascino delle cose passate e finite, quelle cose che sono sempre capaci di coinvolgerci perché in fondo ci riguardano».
In quest’ultima ripresa le due étoile di ballo sono Alina Somova, Civiltà tecnicamente impeccabile, e Federico Bonelli, muscoloso ed espressivo Schiavo in perizoma prestato dal Covent Garden. Le due étoile mimiche sono invece Marta Romagna, la Luce, e il rivale nel libretto Mick Zeni, l’Oscurantismo.
Excelsior, al Teatro alla Scala fino al 25 luglio
Foto: Excelsior, foto Brescia-Amisano © Teatro alla Scala