La provincia, la giovinezza, la precarietà dell’esistenza. “Chi manda le onde” di Fabio Genovesi è un romanzo corale che ricorda molto il migliore Ammaniti
«Quando arriva la grande occasione della vita devi farti trovare pronto, sul fosso con l’esca in mano» scriveva qualche anno fa Fabio Genovesi sul suo blog. Il blog ora non c’è più, ma lui l’occasione non se l’è fatta scappare e oggi è uno dei giovani scrittori di punta della scuderia Mondadori che, si dice, voglia candidare il suo nuovo romanzo, Chi manda le onde, al premio Strega 2015.
Forse sono solo chiacchiere di corridoio editoriale, certo che l’escalation di Fabio Genovesi è stata fulminante: l’esordio con Versilia Rock City (uscito da Transeuropa nel 2008 e poi riproposto da Mondadori); il successo di Esche vive che l’ha fatto conoscere al grande pubblico, poi l’ironico affresco nel saggio cult Morte dei Marmi e il racconto del Giro d’Italia per il “Corriere della Sera” da cui è nato il volume Tutti primi sul traguardo del mio cuore.
Genovesi, insomma, sta diventando un grande. E con quel sapiente mix di lacrimucce, risate e intrattenimento, ricorda il migliore Ammaniti, quello di Io non ho paura o Io e te, con i loro personaggi simbolici dal forte potenziale cinematografico.
Non sarei dunque sorpresa di ritrovarmi sul grande schermo Luna, una bimba albina dagli occhi così chiari che per vedere ha bisogno dell’immaginazione, e Zot, un compagno di scuola, che è arrivato da Chernobyl con un progetto umanitario e parla come un anziano. Due bambini a loro modo diversi, che guardano alla vita con uno sguardo differente, esistono senza partecipare, anche se vorrebbero appartenere a quella massa che li tiene in disparte.
Soli, insicuri, disorientati sono come naufraghi che si tengono aggrappati con tutte le forze agli adulti che li circondano, ma intorno a loro ci sono solo personaggi alla deriva: c’è Serena, una donna bellissima a cui la vita ha dato due figli senza la promessa di un amore; c’è Ferro, un astioso vecchio bagnino che cerca di resistere all´assalto dei russi neo-ricchi.
E poi ci sono Sandro, Marino e Rambo, simboli tragicomici di una generazione di quarantenni che fatica a crescere fra mille espedienti (spesso ironici), come la ricerca di tesori in spiaggia con un metal detector fai da te, le gite nei boschi a raccogliere funghi e pinoli da vendere ai ristoranti del centro fino alla sepoltura della madre nel congelatore.
Le onde del titolo stanno tutte lì, tra il “noi” che vorremmo o dovremmo essere e il “noi” che siamo, sballottati dalle correnti, alla ricerca di un approdo che intravediamo in lontananza ma che non riusciamo mai a raggiungere. E in mezzo a questo mare c’è tutta la provincia italiana coi suoi vizi, le paure, le meschinità, dal razzismo all’ossessione della sessualità, fantasmi che Genovesi riesce a ritrarre con semplici gesti.
Chi manda le onde di Fabio Genovesi (Mondadori 2015, pp. 391, 19 euro)