In scena su un palcoscenico di cartone la fragilità delle convenzioni a cui ogni persona si aggrappa, che sia un personaggio, Ibsen stesso, o una compagnia di artisti e artiste sotto la direzione di Liv Ferracchiati
La vocazione di Hedda Gabler è quella di annoiarsi fino a consumarsi, nessun pericolo però: questo non è quello che succede durante questo spettacolo in cui si risolve un rompicapo tra la drammaturgia di Ibsen e la scrittura contemporanea di Liv Ferracchiati che con un’operazione di autofinzione salta da un tempo all’altro dimostrando che i problemi di un giovane uomo nella sua ricerca di riconoscimento, di una vocazione, di una ragione per vivere, ma anche dell’amore, di un rapporto sincero e diretto non sono poi così diversi dal 1800 ad oggi.
Questo spettacolo si intitola Hedda. Gabler. Punto. Perché forse è quello che tutti i personaggi stanno cercando: il punto della situazione. C’è chi lo cerca studiando montagne di libri, chi lo cerca in se stesso chi lo cerca nella compagnia degli altri, nell’amore o nella famiglia. Un punto, qualcosa a cui aggrapparsi. Ma per Hedda cos’è? Gli unici punti fermi, saldi, solidi della sua vita sembrano essere i proiettili delle sue amate pistole. La salvano dalla noia, non le chiedono niente, il loro potenziale la emoziona.
L’accostamento del testo di Ibsen a quello di Ferracchiati pone in evidenza quanto Hedda Gabler sia attuale. Possiamo pensare a lei come ad una donna di oggi che rifiuta i ruoli classici imposti dalla tradizione. Non le importa di fare la donna di casa, la moglie perfetta, non le importa di essere madre. Sta cercando di capire chi è e che cosa vuole dalla vita, sa solo che deve essere qualcosa di vivo, vivo e bello. Questa versione è una rivincita per un personaggio che è sempre stato etichettato come cattivo, manipolatore, rifiutato addirittura da molte attrici tra cui Mariangela Melato. Sembra quasi una coincidenza che lo spettacolo sarà in scena fino al 22 Dicembre proprio nel Piccolo Studio Melato, una coincidenza o un segno di pace tra il teatro e Hedda Gabler.
Petra Valentini fa venire i brividi sia quando interpreta Hedda sia quando torna se stessa. Non le serve avere una pistola in mano per intimorire i suoi compagni di scena o i rispettosi spettatori. Le incursioni degli attori durante lo spettacolo vanno a minare e mettere alla prova l’equilibrio tra la tragedia di Ejlert Løvborg in cerca di redenzione e quella di Liv Ferracchiati che parla con la sua musa perduta. In mezzo agli attori Ferracchiati è un non-interprete ed è l’unico che non vuole uscire dal personaggio, che vorrebbe fare solo Løvborg, ma spesso non ci riesce, viene richiamato dagli attori o dalle intrusioni della sua stessa drammaturgia, oppure non si sente all’altezza del dramma ibseniano e deve chiedere aiuto alle sue compagne di scena.
Così le difficoltà del regista vengono perdonate e bilanciate grazie alla bravura e all’agilità emotiva di tutto il cast, ogni interprete riesce a catapultarsi da un secolo all’altro senza perdere quella profonda verità quell’urgenza che li tiene attaccati al palco, quella frenetica ricerca di un punto. Che sia il bisogno dell’interprete o quello del personaggio non importa, i ponti sono più corti di quello che si possa immaginare.
Guardando Hedda. Gabler. si può godere delle storie e delle emozioni dei personaggi, ma anche dei giochi metateatrali e metanarrativi che invece di essere un vanto intellettuale comprensibile a pochi diventano un gioco schietto e semplice col pubblico, un mostrare le prove a cui si viene sottoposti quando si aziona la macchina teatrale.
Un gioco che da Pirandello a Sergio Blanco continua a rinnovarsi e nelle mani di Liv Ferracchiati diventa uno strumento che non romanticizza il mestiere dell’artista, rischio in cui cadono spesso molte autofinzioni, ma che mette in evidenza il lato umano e terra terra di lavoratori e lavoratrici con l’ambizione di creare e trovare qualcosa di vivo, vivo e bello. Ricorda qualcuno?
Foto © Masiar Pasquali