Faceva il palo. Nel 1945

In Weekend

Andrea Jacchia passeggia lentamente per la città. E scopre, anche per noi, inattese tracce di memoria resistente

Immaginate di essere quello che siete stati, e che sarete, molte altre volte, a Milano: dei cittadini, o cittadine, chiusi in macchina e fermi a un semaforo. Per esempio, in piazza della Repubblica, già piazza Fiume, molti anni fa. Aspettando il verde, immaginatevi anche in sosta su un carattere urbano dominante, ed evidente proprio lì, dove siete, in gran parte di quello slargo: il marmo, e, con maggior parsimonia, i mattoncini rossi anni Trenta, restano i colpi d’occhio, i materiali estetici della vostra città. Almeno nei centri del centro. Essendo a ridosso dei neonati quartieri “dirigenziali” dell’Expo, potreste anche immaginare – se il rosso del semaforo prende alla lunga i suoi tempi – un’ipotetica, futura, gara di marchio fra l’orgia del vetro in corso e la storica forma-sostanza della città. In sintesi, il grattacielo dell’Unicredit contro il Duomo, le nuove forme del vetro-cemento, spuntate come funghi pre-atomici, contro il marmo della storica cattedrale, o quello littorio del Palazzo di Giustizia, o contro il perfetto connubio marmo-mattoni della Triennale. Senza contare, nella lizza, i mattoni di Sant’Ambrogio, dell’Università Cattolica, o quelli, emblematici di una rifondazione riuscita, del Castello Sforzesco.

Uno strano torneo, in fondo più da boutique, o da spot, che reale: immaginate, di botto, al volante, di non pensarci più, e di avere cambiato programma. Il verde del semaforo è arrivato, ma decidete di non proseguire. Anzi di posteggiare, prendere il largo da eventuali imbottigliamenti, comuni sui bastioni di Porta Volta. Avete voglia di camminare, in quella piazza, anche perché non avete fretta (succede, anche a Milano) e il pomeriggio di inizio autunno è luminoso. Vi accompagna una cara amica (era con voi, in macchina): pittrice e scultrice, molto brava. Un po’ piemontese e un po’ veneta. Milanese d’adozione e di residenza – a Porta Venezia – più che di carattere (si parla di caratteri recessivi: quelli un po’ marmorei, o “gnucchi”, con cui Milano ha contagiato, nella sua storia, una lunga fila di “meteci”consenzienti).

Iddio puo’ rivelarsi nei minimi particolari, e uno di questi puo’coincidere anche con una traccia di storia trascurata, eppure visibile, stabile, e di cui nessuno prende nota. Un resto vivo. In questo caso, sul lato occidentale di una piazza centrale di Milano (guardando dal centro della città): quella piazza della Repubblica dove – sul filo di questo racconto – potreste immaginarvi, camminando, dopo aver posteggiato, fra i mattoni delle case architettate da Giovanni Muzio e i marmi degli edifici a ridosso dei Bastioni di Porta Venezia. La passeggiata, breve, puo’ diventare sorprendente: perché vi sentite chiedere: «Hai mai notato quel pilastro di ferro della luce?».

Uno dei tanti, li’, piantato nel cemento di un marciapiede. Più o meno sulla stessa linea dell’Hotel Principe di Savoia, prima di uno dei passaggi zebrati che bisogna attraversare per raggiungere i giardinetti prospicienti al celebre, e pomposo, albergo. Ve lo vedete indicare, quel pilastro senza pretese, vi avvicinate a lui, insieme a lei. A lui, perché diventa quasi una persona, un incontro. È un palo con un bel po’ di buchi di proiettili. Utile, in funzione, e malconcio. Si dice sforacchiato. Si rivela da una scritta mai cancellata: 1945. Vi sentite spiegare: «È probabilmente l’ultimo resto dell’ultima guerra e dei giorni della Liberazione di Milano».

A questo punto, tornando in macchina con la vostra attentissima amica milanese d’adozione, potreste incrociare emozioni diverse. La più ovvia: fa bene, ogni tanto, posteggiarsi, e lasciarsi vagare per la città. La più intensa: quel pilastro è memoria milanese di base, storica. È un “1945”, lasciatelo lì com’è. La più curiosa: quanti cittadini sanno della sua esistenza? Alla fine potreste anche decidere di passeggiare più spesso attraverso i “luoghi comuni” della vostra città. Possono sorprendere, sconosciuti, unici. E, in una sostanza fortunata, resistenti.

Foto di Giulia Storti

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