Europa. Per amor proprio

In Letteratura

Federico Fubini ragiona sull’Europa in un momento storico in cui l’euroscetticismo sembra essere stato superato da un riduzionismo eurodistruttivo. Sulla bilancia ci sono i dubbi, le prospettive, i giochi del potere, certo. Ma, se problemi complessi necessitano di soluzioni complesse, questo è il momento di tirare fuori il cervello.

Il 14 aprile è iniziata l’ultima stagione di Game of Thrones. Senza incappare nel demone dello spoiler – che nel caso di Game of Thrones probabilmente un arcidemonio – si può comunque dire che sia un’ottima metafora della nostra condizione attuale.
Westeros (il continente immaginario di Game of Thrones) è infatti minacciato dalla discesa degli Estranei, esseri mostruosi, e dal loro esercito di Non-morti. L’unica speranza che hanno gli uomini per riuscire a sconfiggerli è quella di unirsi in un unico grosso esercito mettendo da parte tutti gli intrighi e i giochi di potere per decidere chi salirà al Trono dei Sette Regni. Ovviamente, l’alleanza fra i diversi pretendenti al trono non sarà così facile, o nemmeno scontata, ognuno piuttosto arroccato nella propria visione e nella ricerca dei propri obiettivi. Con gran pace del continente.

Tutto questo è una descrizione sorprendentemente accurata di quello che sta succedendo in Europa negli ultimi anni. Per comprendere il nesso fra Game of Thrones e Unione Europea, torna particolarmente utile il saggio di Federico Fubini, Per amor proprio. Analizzando, infatti, i fallimenti dell’UE, Fubini cerca di mostrare i rischi di questa rottura sentimentale fra Italia (in particolare, ma è un sentimento diffuso) e il progetto europeo. Gli Estranei che stanno bussando alla nostra porta, o, che meglio, hanno già iniziato la loro discesa, sono la globalizzazione, l’automatizzazione, la Cina e il multipolarismo. La mancanza di una soluzione a un mondo che si stava rivoluzionando è uno dei maggiori limiti dell’UE per come la conosciamo. Proprio come i popoli di Westeros, anzi, si è usata la confusione e la crisi per avvantaggiare determinati Stati a sfavore di altri, là dove, invece, sarebbe stata necessaria unità, sia ideologica che politica.

 

NON C’E’ ALTERNATIVA

Prima di guardare nel dettaglio la lotta intestina con le diverse casate, e gli Estranei che stanno scendendo e razziando il nostro Westeros, però, è necessario fare una premessa, che è anche uno dei punti fondamentali del saggio di Fubini: il discorso intorno all’Unione Europea, soprattutto in Italia, si basa unicamente su due posizioni polarizzate: o si è favore all’UE così com’è, ritenendola non solo la migliore Unione possibile, ma proprio l’unica, o si è completamente contrari a qualsiasi forma di unione transnazionale. O bianco o nero, senza vie intermedie. Qualsiasi intervento viene, perciò, fatto ricadere d’ufficio in una delle due categorie, o, peggio, strumentalizzato da una delle due fazioni. A questo proposito, è particolarmente interessante il racconto che fa Fubini di una sua inchiesta, mai pubblicata, sulla  mortalità infantile  in Grecia dopo l’intervento della Troika.
Fubini si autocensurò perché preoccupato “su come l’articolo sarebbe stato accolto in Italia, su chi se ne sarebbe impossessato per sostenere idee che non condivido e sugli altri – in teoria a me più vicini – che si sarebbero infuriati e arrampicati sugli specchi pur di negare e respingere le evidenze che avessi presentato”.
Lo stesso rischio, secondo Fubini, lo corre questo libro.
Eppure, proprio perché si vuole che sia tutto bianco o tutto nero, diventa necessario parlare, proporre, dibattere. Mostrare che non è vero che non vi è alternativa. Mostrare i limiti del progetto europeo così com’è ora, senza però rifiutare in toto qualsiasi visione internazionale, in favore di provincialismo e sovranismo. Insomma: aprire nuovi spazi per nuove visioni.

Una delle intuizioni più felici di Per amor proprio è quella di trattare gli Stati come se fossero dotati di una psicologia, e cercare di analizzare, quindi, la storia come se fosse una biografia, con cause ed effetti paragonabili a corteggiamenti fra innamorati, crisi sentimentali e conseguente crollo dell’autostima.
Fin dagli anni ’90, l’Europa, e in particolare i paesi del Nord, sono stati usati come modello e sprone per modernizzare l’Italia (“devo essere alla sua altezza”). Questo confronto ha comportato una sorta di sindrome di scoraggiamento – “sarò mai abbastanza per lei?” – che si è tradotta in astio e rancore nei momenti di difficoltà. Soprattutto perché l’Unione Europea stessa si è mostrata distante e insensibile alle istanze dei Paesi del Sud (“non mi capisci”).
Fubini, a questo proposito, parla di una vera e propria rottura sentimentale fra italiani e Unione Europea, con i populisti sovranisti che sfruttano questo astio, questo sentirsi inferiori per dire che non è colpa nostra, ma è l’Unione Europea che fa i suoi comodi e ci vuole soltanto sfruttare, noi siamo a posto, noi abbiamo la coscienza pulita. È l’Unione Europea che ci ha friendzonato e ci chiama solo quando ha bisogno di noi.

 

LE CASATE DELL’UNIONE EUROPEA

A complicare le cose, vi è il fatto che, comunque, i discorsi sovranisti hanno gioco facile perché si appoggiano anche su un’evidente disparità nella gestione della res europea. La visione di un’Unione Europea senza difetti e senza privilegi si scontra piuttosto velocemente con l’evidenza che all’interno dell’Unione si sta assistendo a quello che Fubini chiama un effetto di agglomerazione: “agglomerazione progressiva delle risorse, anche umane, verso il centro del sistema”. Ovvero, Germania e paesi nordici. Non solo l’Unione Europea, infatti, è stata inadeguata nel prendere la parte dei perdenti della globalizzazione, come appunto l’Italia, ma l’ha sfruttata per favorire le regioni più ricche, a discapito delle altre.

“Anche l’Europa è un sistema sociale e ha reagito al ventunesimo secolo come fanno gli altri sistemi sociali, producendo vincenti e perdenti”.

Un dato esemplare: dal 2009 al 2017 sono emigrati in Germania 2,7 milioni di Europei.

I problemi cronici dell’Unione Europea vengono riassunti perfettamente nella descrizione di una giornata tipo di un eurodeputato italiano.
In particolare, ciò che Fubini sottolinea sono le alleanze all’interno dell’Unione: il gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia), uniti dalla voglia di rivincita dopo un passato recente non troppo luminoso; i Paesi Anseatici (Estonia, Lituania, Lettonia, Finlandia, Danimarca, Svezia, Olanda e Irlanda), che si percepiscono “come vincenti dalla globalizzazione – o potenzialmente vincenti – e  non vogliono condividere i costi dei perdenti. Sono dunque disposti a imporre su questi ultimi scelte che li possono danneggiare in profondità, com’è successo alla Grecia, pur di avere l’illusione di stendere un cordone sanitario attorno a loro e al loro debito”; e, infine, l’alleanza principale, quella fra Germania e Francia, che si basa da parte francese sull’interesse nello sfruttare la buona parola dei tedeschi per mantenere un ottimo rating in fatto di credibilità finanziaria (ha pur sempre un debito maggiore del 300%) e, da parte tedesca, “l’immagine di unità con la Francia le fa comodo per mostrare che non è lei l’egemone unica dell’area euro”. Nel novero di queste alleanze, emerge piuttosto nettamente come manchi quella che Fubini chiama l’Alleanza dei Paesi del Sole, cioè i paesi dell’Europa del Sud, come Portogallo, Spagna, Grecia e appunto Italia.

Fubini, quindi, pur non essendo un sovranista, è un euroscettico nel senso che mette in dubbio il funzionamento del’Unione Europea così com’è. In particolare, punta i riflettori su due grosse crepe che la stanno attraversando. La prima è la cecità, in mala fede, che sta mostrando l’Unione Europea riguardo il processo di svuotamento della democrazia che sta avvenendo nell’Europa dell’Est, in special modo l’Ungheria di Orban. Orban sta annullando i poteri del Parlamento dall’interno. Questo è agevolato anche dal fatto che il popolo è sempre più conservatore e rabbioso. Molti che sono contrari alle riforme in odore di autoritarismo lasciano il proprio paese, sempre meno ospitale, in favore di altri più aperti, economicamente e socialmente. In particolare, la Germania, come abbiamo visto con l’effetto di agglomerazione. Proprio questo dislivello sempre maggiore è la seconda crepa che interessa Fubini. Un dislivello che, però, non è soltanto effetto involontario di una mancanza di risposte dell’Unione Europea davanti al mondo che avanza, ma, suggerisce, una vera e propria scientifica ricerca di mano d’opera a basso costo:

“in sostanza le imprese tedesche fanno produrre i componenti necessari per realizzare le automobili o altri beni complessi in impianti spesso di loro proprietà [in Europa dell’Est], quindi li acquistano a prezzo contenuto e li assemblano in Germania, per poi riesportare il prodotto finito verso la Cina o gli Stati Uniti e venderlo a prezzo pieno. I produttore tedeschi riescono così a incamerare per sé stessi e i loro dipendenti in patria gran parte del valore aggiunto che viene generato nell’Europa orientale, ma non è stato distribuito ai salariati locali”.

 

L’INVERNO È ARRIVATO

L’urgenza del discorso di Fubini è motivata dal fatto che l’Europa, nonostante le proprie convinzioni, non è più sola – non che lo sia mai stata, ovviamente. Ma, forse mossa ancora dalle reminiscenze di un passato di eurocentrismo (come un ragazzino che non accetta più che il liceo è finito e che ormai si è adulti), si muove piuttosto ciecamente in una realtà completamente nuova e decisamente multipolare. I paesi dell’Unione Europea, proprio come le casate di Westeros, ombelicalmente conchiusi in se stessi, divisi e frazionati, sono diventati territori di conquista. Senza quasi nemmeno rendersene conto, tanta è la loro cecità.

L’esempio più inquietante di questa azione può essere trovato in un passaggio di Niente è vero, tutto è possibile, reportage dalla Russia contemporanea di Peter Pomerantsev.
Dopo aver mostrato l’inquietante deriva da dittatura post-moderna della Russia, Pomerantsev volge gli occhi a Londra, territorio privilegiato per gli acquisti esteri dei magnati russi, dalle squadre di calcio a interi quartieri.

“Londra mi ha scioccato. L’intero sistema si regge sul desiderio di attrarre denaro. Vogliamo il loro denaro. Vogliamo i loro scambi commerciali. E adesso salta fuori che l’ex cancelliere tedesco, Gerhard Schröder, Lord Mandelson e altri suoi pari lavorano per le aziende di Stato russe. […] Un tempo avevamo l’idea che l’Occidente rappresentasse lo stadio definitivo dell’evoluzione delle istituzioni democratiche, e trattavamo da una posizione di forza, perché tutto il mondo ci stava imitando. Ma adesso non è più così. Perché se crediamo che ciò che abbiamo qui non sia molto fragile, ci stiamo solo prendendo in giro. […] Tutto questo è molto fragile”.

Allora, visti in quest’ottica, appaiono quanto meno inquietanti, se non decisamente ambigui, i rapporti che l’Italia sta intessendo ora con Russia e Cina. Per amor proprio si chiude con una presa di coscienza, che sottolinea quanto sia ancora più urgente la modifica e la rinegoziazione di un’Unione Europea veramente funzionante e veramente inclusiva:

“La scelta per l’Italia, come per chiunque altro nel continente non è fra accettare l’integrazione europea e restare una nazione sovrana. La scelta è fra Europa e impero: impero degli altri, qualche impero più lontano e meno democratico al quale finiremmo per doverci sottomettere in cambio di un po’ di aiuto, senza avere voce in capitolo sul nostro destino”.

L’inverno, insomma, è arrivato.

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