Una mostra preziosa alla Galleria Previtali introduce nel mondo di Federico Maggioni (1944)
In concomitanza alla Graphic Week di Milano, appena conclusa, si svolgono in città due importanti mostre dedicate a due maestri dell’illustrazione: Saul Steinberg alla Triennale – con grande attenzione ai suoi fondamentali anni milanesi – e Federico Maggioni alla Galleria Previtali arte contemporanea. Quanto grandiosa è la prima mostra, tanto intima e raccolta è quella dedicata a Maggioni. In uno spazio molto bello a due passi dai Navigli, si può visitare una raccolta di una quarantina di disegni dedicati alla città di Milano, Milano e i luoghi della fantasia, fino al 9 aprile.
Maggioni è nato a Campo, in provincia di Como, nel 1944. Trascorre i primi anni a Roma prima di trasferirsi definitivamente a Milano, dove vive. Disegna da sempre e, giovanissimo, comincia a lavorare alla Domenica del Corriere, poi al Corriere dei Piccoli e al Corriere dei Ragazzi. La sua è una carriera bellissima tra riviste – di cui spesso è art director – illustrazioni per giornali e periodici e soprattutto per libri. Illustra storie di Tiziano Sclavi – il mitico Mostri, tra gli altri – di Italo Calvino, Edmondo De Amicis.
Antonio Faeti lo considera il più grande illustratore italiano. E di Faeti mi fido ciecamente.
Quando l’incontro in galleria trovo un uomo elegante, compassato, con un’aria ironica e divertita. Ma appena comincia a mostrarmi le sue opere il personaggio scompare per fare posto a una persona entusiasta, appassionata, che ama evidentemente il suo lavoro.
La prima parte della mostra è dedicata ai suoi disegni per I promessi sposi (Piemme, 2006, ripubblicato da Jaca Book nel 2018). Mi descrive i moti popolari, don Abbondio, la monaca di Monza, il castello di don Rodrigo e dell’Innominato. Quest’ultimo è un eremo cupo, desolante in cui scarseggiano i colori. Ma non è un’opera in bianco e nero (tecnica di cui Maggioni è maestro). È un’opera in cui il colore non c’è non per scelta tecnica ma perché la tetraggine che descrive non contempla alcun colore. Mi ricorda quelle fotografie delle periferie metropolitane, certe scene di guerra riprodotte a colori ma dove il colore non c’è, è scomparso.
È questo, anche nelle sue immagini più gioiose, un leitmotiv costante: la tecnica sopraffina dell’autore – che predilige acquerello, tempera, anilina, ma che non rifugge da varie sperimentazioni, computer, creta, das – è sempre pervasa dal sentimento che nelle immagini finisce per trasparire distinguibile. Maggioni non descrive, ricrea. È uomo coltissimo e studia i suoi soggetti con tale partecipazione da fargli inserire episodi che nell’originale non si trovano (il bellissimo Martirio di don Abbondio, per fare un esempio).
Suoi riferimenti dichiarati sono Klee, Picasso, Matisse. Ma anche Paolo Uccello e Piero della Francesca. E James Ensor, il pittore belga campione dell’espressionismo, i cui ritratti grotteschi sono riconoscibili in alcuni bizzarri personaggi di Maggioni che non teme la sfida del paradossale e del tragicomico.
“Ma non confondiamo artisti e illustratori. Non capisco questa urgenza. L’artista fa una ricerca, l’illustratore ne fa una diversa. Io sono un illustratore”. Indubbiamente. Un illustratore che oltre ai riferimenti citati, si cimenta con l’immaginario pop, con colte allusioni alla grafica di moda degli anni Venti e Trenta, e con la street art persino. E penso alle sue opere in cui protagonisti sono la neve o la foschia, resi palpabili e addirittura tangibili con spruzzate di colori diversi che sembrano realizzate con le bombolette.
Ci addentriamo al piano inferiore dell’elegante spazio della galleria. Qui scorrono altre atmosfere, altri colori. Quelli squillanti di Cose turche di Luca Scarlini (Jaca Book, 2018), quelli evocativi, nostalgici del Canto di Natale di Charles Dickens (Corraini, 2012) in cui la cupa Londra di Scrooge è mitigata da un’evidente passione per lo scrittore vittoriano e per la grande Londra.
La duttilità intellettuale dell’autore si riflette nei diversi registri dei suoi disegni.
Un giovanissimo Mozart dirige un’orchestra composta da burattini e birilli sotto lo sguardo vigile e severo di una maschera (il convitato di pietra?) nel Viaggio del giovane Mozart di prossima pubblicazione per Jaca Book. Una cupa atmosfera ritorna per la serie de La grande guerra raccontata ai ragazzi (Donzelli, 2015), che fa poi posto agli sgargianti colori delle illustrazioni per Cose turche di Luca Scarlini (Jaca Book, 2018) e alle atmosfere tragicomiche della Fattoria degli animali di George Orwell (di prossima pubblicazione per Jaca Book).
Infine, due serie molto particolari. Le immagini del Rigoletto di Giuseppe Verdi (Corraini, 2017) e quelle dedicate al Regolamento del giuoco del calcio (Corraini, 2004) in cui la versatilità dell’autore si esprime in divertite e sorprendenti composizioni.
Maggioni è un lavoratore instancabile oltre che appassionato. Progetti per il futuro?
“Una serie di illustrazioni sul tema dell’Annunciazione” risponde. Siamo alla vigilia del 24 marzo, giorno in cui l’arcangelo Gabriele si presenta a Maria. “È un tema fondamentale. Uno dei cardini del pensiero occidentale e uno dei soggetti più visitati dell’arte”. Si può scommettere che sarà un’altra sfida vinta.
Esco dalla galleria appagato, pieno di immagini, di tratti e soluzioni pittoriche sorprendenti, di trovate espressive azzeccate, di immagini capaci di evocare le storie che l’autore voleva proporci. Una mostra bellissima.
Ma non chiamatelo artista. Lo dice lo stesso Maggioni. Lui è un illustratore.
Federico Maggioni. Milano e i luoghi della fantasia, Milano, Galleria Previtali, fino al 9 aprile.
Immagine di copertina: dal Rigoletto di Giuseppe Verdi (Corraini 2018)