Interessante la Fedra riletta da Andrea de Rosa; le intuizioni riuscite sono molte, ma forse si fa troppo affidamento sui cinque attori protagonisti, su cui svetta la straordinaria Marinoni
Se ci fossero i gironi infernali per l’inconscio, Edipo e Fedra avrebbero lo stesso contrappasso. Per un Freud di diritto ce ne è sempre uno di rovescio. Contro ogni norma e moralità, madre e figlio si stringono in un amplesso biunivoco: da una parte le pulsioni nascoste di un figlio per la madre, dall’altra il desiderio simmetrico della madre per il figlio.
Di certo gli antichi non censuravano i propri miti, giunti fino a noi con millenni di distanza, simboli universali per i complessi più disturbanti. Manco a dirlo, è il teatro il medium privilegiato, talvolta anche nelle vesti morbose e un po’ splatter di Seneca, molto più crudo rispetto ai colleghi tragediografi greci di cinque secoli prima. E viene da dire anche più moderno, quasi ai confini della psicanalisi.
Proprio Fedra è in scena al Piccolo fino al 26 febbraio, con la sua ossessione non segreta per il figliastro Ippolito: non sarà vero e proprio incesto, ma il margine per suicidi e morti finali c’è lo stesso. Rispetto a Euripide, autore di Ippolito, Seneca mette al centro la madre, antieroina dal coraggio sconvolgente, capace di confessare il suo amore in prima persona, senza affidarsi alla solita nutrice come nell’Ippolito. La Fedra romana non è solo forte e passionale, ma è coerente con se stessa. Così la dignità pur contradditoria dei suoi sentimenti si incorpora nel motto: «Questo, che io voglio, non lo voglio», gridato agli dei in uno dei passi più illuminanti del teatro antico.
È Laura Marinoni, bravissima, a dare voce alla matrigna-amante che, in attesa del marito Teseo, tenta di sedurre suo figlio Ippolito. Avventata per istinto, vendicativa per disperazione, Fedra si trafigge in pubblico nel finale. E un getto di sangue cola sulle pareti di un’efficacissima serra in plexiglass (la scena è di Simone Mannino), contenitore e vetrina di tensioni fin dall’inizio di questa messinscena di Andrea De Rosa.
Ci sono spettacoli che funzionano con poche mosse invisibili: basta un bicchierino di sangue, gettato col braccio «come a tennis nel rovescio», e subito la Marinoni ci trascina nel profondo rosso di Seneca. Ma il vero horror arriva nel finale, con le membra esposte di Ippolito, appese una per una ad addobbare il proscenio. C’è persino la testa decapitata di Fabrizio Falco, figliastro sacrificato e infine reso ombra nell’Ade, mentre Luca Lazzareschi lo piange con amplificazione violenta e pervasiva, voce di un Teseo inconsolabile.
Sul palco una dea-non dea assiste a ogni cosa commentando la vicenda con risate silenziose e un po’ diaboliche. È Anna Coppola, che ha lasciato da poco la sua fata turchina dark di Pinocchio per questa Artemide-Diana, ma anche Afrodite-Venere, dee dell’Olimpo con crisi d’identità nazionale in velluto rosso. Completa il cast Tamara Balducci, oscuro oggetto del desiderio per il misogino Ippolito-Falco, nella scena di nudo espressionista tipo Madonna di Munch: ogni repressione nasconde un desiderio.
Tante le idee del regista Andrea De Rosa, ancora al lavoro sul teatro classico dopo Troiane, Simposio ed Elettra (da Hoffmannsthal). Potente il cubo trasparente in scena, una teca per questa rassegna di teatro della crudeltà, perfettamente adeguata a uno dei testi di Seneca più barocchi.
Un testo nato per una dimensione di palazzo, per intrigare un pubblico di nobili, oltre che lo stesso imperatore. Pubblico che andava distratto dalla politica con un microscopio sulle relazioni pericolose e nevrotiche dei ceti alti: «La gente modesta ha desideri sani…ricchi e potenti invece bramano più di quel che è lecito». Ma forse manca qualcosa che tenga davvero insieme i tanti effetti dello spettacolo, che è forte nel volume e nell’esibizione delle trovate, più che nella sostanza – qualche scena superflua, come quella dello stupro. Il dubbio inconfessabile è che si faccia troppo affidamento sui cinque magnifici attori in scena.
Fedra, di Seneca, adattamento e regia di Andrea de Rosa, al Piccolo Teatro fino al 26 febbraio