Febbre, fenomeno, mistero, letteratura: tutto questo condensa l’incredibile storia di un libro ‘L’amica geniale’ e della sua autrice Elena Ferrante. Ferrante Fever è il doc nei prossimi giorni al cinema ( e poi in tv) che racconta il suo viaggio da Napoli all’America e che dà parola ad ‘ammalati’ illustri da Strout a Clinton, da Saviano a Franzen
Come si fa una buona torta? Servono gli ingredienti giusti: la farina, le uova, lo zucchero, il burro, il lievito; si mescola bene, si inforna e voilà. E come si fa un bel film documentario? Servono una storia suggestiva, un personaggio avvincente, dei luoghi evocativi, delle testimonianze autorevoli; si mescola bene, si monta e voilà Ferrante Fever, l’omaggio cinematografico firmato da Giacomo Durzi al caso editoriale di Elena Ferrante che uscirà nelle sale italiane il 2-3-4 ottobre e che sarà poi trasmesso da Sky Arte.
Gli ingredienti ci sono tutti. C’è la storia: il viaggio dello straordinario successo di un libro, i quattro volumi de L’amica geniale, che partito dai vicoli di Napoli approda a New York per vendere 5 milioni di copie. Il racconto parte proprio da qui, con la voce fuori campo di Hillary Clinton, la voce dell’America intellettuale durante le elezioni presidenziali del 2016, che intervistata sulle sue letture preferite confessa di aver iniziato a leggere un romanzo “semplicemente ipnotico”, il primo volume de L’amica geniale, appunto. Segue un minuetto di battute con il giornalista che la mette in guardia: «Roba pericolosa! Attenzione, quando inizi a leggere il primo non puoi più fermarti».
Sullo sfondo, scorrono grattacieli, autostrade, ponti di ferro. Il viaggio è appena iniziato, ma si capisce che lungo la costa atlantica la febbre si è già propagata: lo racconteranno poi vari personaggi coinvolti in questa avventura, la traduttrice, l’editor, la direttrice del National Book Award, la libraia che rivendica la paternità del titolo “Ferrante Fever” perché così aveva chiamato l’affollata serata di presentazione del libro.
Voci celebrative di contorno, si dirà. Facili al contagio. Fino a quando, a metà film, appaiono sullo schermo due calibri da 90: Elisabeth Strout e Jonathan Franzen. Scorrendo velocemente la loro biografia si può immaginare dove potrebbero aver contratto l’infezione: nella redazione del New Yorker, la bibbia dell’intellighenzia americana con la quale i due scrittori collaborano e che ha scoperto e incoronato la scrittrice italiana Elena Ferrante.
Ma, la tetralogia i due big l’hanno letta veramente, ne colgono i trucchi, le sfumature, i personaggi: a Franzen piace Lila, la Strout preferisce Lenù. Lui è conquistato dall’intensità del racconto sull’amicizia, lei dai vicoli di Napoli. Entrambi rispettano con naturalezza, e un po’ d’invidia, la scelta dell’autrice a rimanere misteriosa.
Ed eccoci arrivati a un altro ingrediente: il personaggio. Come è noto, di Elena Ferrante non si sa molto, a parte la sua dichiarata origine napoletana e qualche frammento biografico presente nel suo autoritratto narrativo La frantumaglia. Un mistero che consente al regista, Giacomo Durzi, una grande libertà cinematografica. L’identità anonima viene fuori dalle righe della sua opera, recitata meravigliosamente da Anna Bonaiuto. Una voce intensa, coinvolta, che gli appassionati riconoscono subito: è il tono di Delia, la protagonista del film L’amore molesto, diretto da un giovanissimo Mario Martone e tratto dal primo libro della Ferrante.
“Fuori dai miei libri cosa sono? Una signora non diversa da tante altre” recita la voce fuori campo, mentre la pellicola si fa sporca, consumata, e una donna viene ripresa di spalle mentre cammina. I suoi passi enigmatici accompagnano lo spettatore lungo tutto il viaggio, ripercorrono i temi cari alla scrittrice, la carriera, le testimonianze, le letture, le animazioni.
Un ping pong che salta dall’America all’Italia, dove Roberto Saviano racconta la sua scelta di candidare la Ferrante al premio Strega nel 2015, occasione ricordata anche dallo scrittore Nicola Lagioia che quel riconoscimento l’ha vinto ma ha perso la possibilità di intervistarla. E poi i registi: il già citato Mario Martone e Roberto Faenza, autore del film I giorni dell’abbandono tratto dal suo secondo romanzo. Tutti contagiati dalla “Ferrante Fever”.
La domanda a questo punto non può essere più taciuta: al di là dell’opera letteraria della Ferrante, che cos’è “Ferrante Fever”?È un prodotto cinematografica, un atto promozionale, un fenomeno dei nostri tempi?
Cominciamo col rispondere che in Italia raramente ci scomodiamo a fare un documentario che parli di letteratura, per di più contemporanea. E da vedere al cinema. Quindi, prima di tutto è un atto di coraggio.
Nemo profeta in patria: ammettiamolo, la Ferrante, pubblicata in Italia dalla casa editrice e/o sin dal lontano 1992, l’hanno scoperta nel 2013 in America. E gli americani hanno la straordinaria capacità di trasformare l’arte in business. Senza New York, i grattacieli, il New Yorker e Hillay Clinton non saremmo qui a farci questa domanda. Dunque, è anche un fenomeno dei tempi e di conseguenza un’operazione commerciale, magari in vista della serie TV girata da Saverio Costanzo.
Ma è soprattutto un atto d’amore. Ed è questo che riesce a tenerci incollati a uno schermo per oltre un’ora a guardare, senza annoiarci, un esercizio di stile. Ops, la mia torta è pronta. Speriamo di aver miscelato bene gli ingredienti giusti.
Immagine di copertina: Elena Ferrante Official