La rassegna dedicata al cinema d’Africa, Asia e America Latina apre il 20 con “I’m Not Your Negro” dell’haitiano Raoul Peck, che racconta tre protagonisti della lotta per i diritti civili dei neri negli Usa, Martin Luther King, Malcolm X e Medgar Evers, assassinati negli anni Sessanta, attraverso le parole di un grande scrittore black, James Baldwin. Nelle varie sezioni della rassegna, comunque, molti titoli interessanti in arrivo da Cannes e Berlino, da Congo, Buthan, Marocco, Cile, il nuovo film del brasiliano Hector Babenco e un documentario di Tommaso Cotronei girato nello Yemen controllato da Al Qaeda
Apre il 20 marzo all’Auditorium del Centro San Fedele, con un’anteprima italiana che può sembrare in qualche modo anomala, quella di I’m Not Your Negro di Raoul Peck, in senso stretto fuori del perimetro geografico della rassegna, il 27° Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina, in programma poi fino al 26 in varie luoghi milanesi, dallo Spazio Oberdan alla Fondazione Feltrinelli, dal cinema Palestrina a CinèMagenta 63 a Cine Wanted.
Anomala perché attraverso le molte interviste e il racconto-guida fuori campo, ricostruito sulla base delle idee di un grande intellettuale nero americano, lo scrittore James Baldwin, si rievocano gli Stati Uniti di un decennio cruciale, gli anni 60, e lo si fa delineando lo sfondo e le premesse degli omicidi di tre personaggi di grande spicco nella battaglia dei diritti civili di quell’epoca e di quel popolo: Medgar Evers, il meno conosciuto, almeno in Europa, dei tre, militante black freddato a casa sua nel 1963, e gli assai più noti Malcolm X., forse il più colto e politico tra i leader di colore di quella stagione, assassinato nel 1965, a 39 anni, durante un discorso pubblico a Manhattan, e soprattutto il reverendo Martin Luther King, ucciso in un motel di Memphis, il 3 aprile 1968 da chi mai avrebbe voluto che il suo celebre “dream” di uguaglianza e parità fra le razze potesse realizzarsi.
Amico sopravvissuto (morì poi nel 1987) di tutti e tre, con loro in prima linea nelle proteste del decennio più caldo e ricco di successi e tragedie nella storia del popolo colored degli Usa, Baldwin ritornò molti anni dopo in quei luoghi e su quei fatti per realizzare un progetto letterario che in realtà restò incompiuto: ma attraverso il viaggio, reale e metaforico, tratteggiò una storia dei conflitti razziali nel suo paese e dei rapporti sempre burrascosi tra bianchi e neri. Tutto questo riporta alla luce I’m Not Your Negro, entrato nella cinquina d’oro all’Oscar per il miglior documentario, firmato da un regista haitiano, Raoul Peck – e qui torniamo nell’area classica del festival – che di suo ci mette anche immagini eloquenti di ciò che è accaduto “dopo”, negli ultimi 30 anni e soprattutto in nelle notti recentissime in cui gli scontri di piazza, sono riesplosi con violenza, tra le brutalità della polizia e la reazione dei manifestanti sempre più esasperati.
Il grosso del programma di proiezioni del Fcaaal, che ha già un prologo domenica 19 al Festival Center con l’apertura della mostra, curata dal LagosPhoto Festival, “Where Future Beats – Dove il futuro pulsa” (è anche il titolo dell’intera manifestazione) sarà poi concentrato nella prossima settimana, offrendo ben sessanta film divisi tra i tre concorsi. Nella selezione ufficiale “Finestre sul mondo”, in particolare, ben tre film arrivano dalla Berlinale, e in primo luogo l’Orso d’Argento Felicitè, intenso ritratto femminile firmato dal senegalese Alain Gomis ma ambientato a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, e interpretato da un’eccellente attrice-cantante, Véro Tshanda Beya, perfetta nell’impersonare il mix di sensualità, talento artistico e disperazione quotidiana del suo personaggio, alle prese con un figlio grande rimasto gravemente ferito in un incidente e la necessità di accudirlo da sola; gli altri due titoli da Berlino sono Honeygiver Among The Dogs, un noir buddista opera del butanese Dechen Roder e House in The Fields della marocchina Tala Hadid, ambientato sulle montagne di un Atlante quasi senza tempo, dove i più giovani si interrogano sul loro futuro. E ancora in gara vedremo titoli da Sri Lanka, Tunisia e Venezuela. Anche nella selezione di “Cortometraggi africani”, ci sono film che vengono da Cannes e Berlino, mentre un’altra sezione competitiva, “Razzismo brutta storia”, offrirà in prima mondiale The Runaway Bride di Tommaso Cotronei, girato nello Yemen, in una zona controllata da Al Qaeda.
In mezzo a molte iniziative collaterali, dibattiti, incontri, interviste pubbliche a registi, attori e artisti, da segnalare una serata dedicata al grande regista brasiliano Hector Babenco (Ironweed, Il bacio della donna ragno, Pixote), con l’anteprima italiana del suo nuovo film My Hindu Friend, protagonista Willem Dafoe, la sub-sezione “Democrazie inquiete” dedicata alle trasformazioni dell’America Latina, con la proiezione di Much Ado About Nothing del cileno Alejandro Fernandez Almendras, premiato all’ultimo Sundance Festival, “Where Future Beats”, e un omaggio allo scrittore e sceneggiatore cinese Liu Zhenyun che è anche tra gli ospiti più importanti della rassegna milanese. Le proposte di “New Dimensions” infine illustrano i primi tentativi africani di esplorare le tecnologie di ultima generazione, con film girati in Virtual Reality.