Film e talk al Festival dei diritti, dai bambini reporter di guerra al “bed in” per la pace

In Cinema

Cineasti yemeniti che a nove anni documentano la vita sotto le bombe, e la vita dietro il muro che divide Israele e Palestina; la lotta contro il fracking che devasta l’ambiente e il viaggio della morte di molti migranti nel Mediterraneo. Dal 2 al 4 maggio a Milano, al Teatro dell’Arte e nel Salone d’onore della Triennale, proiezioni, mostre e incontri per parlare delle infinite guerre che ci circondano, dei diritti negati a troppi popoli e persone, della lotta per salvare il nostro pianeta da noi stessi

Con una dedica semplice ma così significativa come “Give peace a chance”, che troverà una sua piena giustificazione nella serata conclusiva del 4 maggio, apre giovedì 2 a Milano il “Festival dei diritti umani 2019”, diretto dal giornalista Danilo De Biasio, arrivato alla quarta edizione, che con parole e immagini anche dure ma efficaci mostrerà le crudeltà dei conflitti che insanguinano il nostro pianeta, facendo prima di tutto vittime civili. Nelle immagini che vedrete ci saranno i protagonisti sempre più giovani delle guerre, come significativamente conferma Child War Reporters, film yemenita di Khadija Al-Salami (regista nel 2014 del bellissimo La sposa bambina),offerto in anteprima europea alle 21 della prima serata al Teatro dell’Arte, una delle due sedi, col Salone d’Onore della Triennale, della manifestazione. Per parlare di una guerra spesso dimenticata dai grandi media, soprattutto occidentali, la 52enne cineasta nata a San’a’ ha consegnato una videocamera a due ragazzini trasformandoli in reporter di guerra. E Ahmed, 9 anni, e Youssef descrivono la vita quotidiana dei loro concittadini, costretti a vivere sotto i continui bombardamenti della coalizione guidata dall’Arabia Saudita. Trasformati in mini-reporter, i due vagano per le strade della capitale e visitano i campi profughi per intervistare adulti e bambini.

Il festival s’inaugura alle 9.30 con un incontro su “Se questo non è più un uomo. Quando si perdono i diritti una guerra è cominciata”, al quale parteciperanno la giornalista Francesca Mannocchi e Paola Vita Finzi, docente all’Università di Pavia. In mattinata si vedranno immagini di Gabriele Micalizzi, fotogiornalista di guerra e il mediometraggio Iraq: Dying for Mosul dello svizzero Bernard Genier, che racconta come durante i combattimenti nella città irachena tanti civili siano stati salvati da una ong d’ispirazione cristiana attiva soprattutto in teatri di guerra, fondata da David Eubank, ex ufficiale americano che ha lasciato l’esercito per dedicarsi ad attività umanitarie. Nel pomeriggio dalle 14.30 è in cartellone Unfractured della documentarista canadese Chanda Chevannes, che ritrae la lotta della biologa Sandra Steingraber, leader del più importante movimento popolare a New York contro l’industria del gas e del petrolio, decisa a fermare nel suo paese il fracking, la tecnica estremamente invasiva e distruttiva dell’ambiente usata per estrarre gas dalla roccia, e a seguire Wall del connazionale Cam Christiansen, che ha messo in immagini d’animazione alcuni testi del drammaturgo inglese David Hare sulla realtà del muro che separa Israele e Palestina. Piccolo inciso: a proposito di difficili convivenze a Gerusalemme e dintorni, non perdete, nelle sale milanesi, Sarah e Saleem di Muayad Alayan con Silvane Kretchner e Adeeb Safadi, una commedia drammatica che molte cose dice, e anche originali, su sentimenti e discriminazione. Tornando al Festival, sempre il 2 maggio alle 18 è in programma un talk su “Morire è un mestiere difficile. Tranne in Siria” con la giornalista Lucia Goracci, Khaled Khalifa e un reading di Giorgio Vasta, scrittore e direttore creativo di Book Pride.

BÈ JAM BE et cela n’aura pas de fin di Caroline Parietti e Cyprien Ponson

La giornata del 3 maggio si apre in mattinata con un incontro su “Non è un gioco da ragazzi. sangue e violenza invece di studio e sport”, che fra le altre cose propone una video-testimonianza della senatrice Liliana Segre. Le proiezioni inizieranno alle 14.30 con Of Fathers and Sons del siriano Talal Derki, tornato in patria per documentare per due anni la vita, anche quotidiana, di una famiglia di islamisti radicali (film candidato è statoall’Oscar) e alle 16.15 il franco-svizzero BÈ JAM BE et cela n’aura pas de fin di Caroline Parietti e Cyprien Ponson ambientato a Sarawak, nel Borneo malese, dove “quelli che vivono a monte”, in particolare i nomadi Penan, sono i più colpiti dalla massiccia distruzione delle foreste. Alle 20.30 infine c’è Chris the Swiss di Anja Komfel, reduce dalla settimana della critica a Cannes 2018 e in prima italiana, presente in sala la regista svizzera: Croazia, 7 gennaio 1992, durante la guerra viene trovato il corpo di un giovane giornalista svizzero assassinato, vestito con una divisa della milizia straniera. Diciannove anni dopo la cugina Anja Kofmel racconta la sua storia.

Terzo e ultimo giorno il 4 maggio: alle 9.30 incontro su “La vostra guerra contro il nostro futuro” con John Mpaliza, presentazione di foto “Traces of Light” con Diego Ibarra Sánchez e Lorenzo Tugnoli, e proiezione del corto Nelle miniere dove nascono gli smartphone di David Chierchini e Matteo Keffer. Alle 10.30 al Teatro dell’Arte Blood Leaves its Trails dell’indiano Iffat Fatima, realizzato in nove anni, che descrive il tormentato scenario politico del Kashmir attraverso le vite delle famiglie delle vittime di sparizioni forzate. Seguirà la proiezione di Bir-Well del turco Veysi Altay, ambientato nel Kursidtan negli anni ’90 dove molte persone sono state arrestate e torturate, e i corpi sono stati eliminati dai loro assassini gettandoli dagli elicotteri o seppellendoli in pozzi pieni di acido. Il documentario racconta il caso di sette persone, tra cui quattro bambini, scomparsi dalla città di Kerboran (Dargeçit) nel 1995. Seguiranno il franco-russo The Son di Alexander Abaturov, storia di Dima, ucciso il 23 maggio 2013 all’età di 21 anni mentre era arruolato nell’esercito russo, colpito alla testa durante un’operazione militare in Daghestan, ed Eldorado del regista svizzero Markus Imhoof, che dopo La barca è pienaMore Than Honey, il primo Orso d’oro a Berlino e candidati entrambi all’Oscar, racconta il destino di migliaia di uomini e donne in fuga verso l’Europa. Le sue domande sull’umanità e la responsabilità nella nostra società l’hanno ricondotto all’infanzia, al suo profondo legame con Giovanna, una giovane italiana rifugiatasi durante la Seconda Guerra Mondiale in Svizzera, ospitata dalla famiglia del piccolo Markus. Oggi, 70 anni dopo, Imhoof gira le sue immagini a bordo di una nave della Marina Militare Italiana che ha salvato più di 100 mila persone nel Mediterraneo nell’ambito dell’operazione “Mare Nostrum”.

Una serie di altri talk condurranno poi alle 21 al conclusivo “Bed in 2019”, kermesse in omaggio alla protesta pacifista di John Lennon e Yoko Ono, realizzata in collaborazione con Radio Popolare e Amnesty International Italia.

Dopo Milano, il festival toccherà Bologna (Cinema Lumière, 7 maggio), Firenze (auditorio Santa Apollonia, 8 maggio) e Roma (Maxxi, 11 maggio). Tutte le informazioni su www.festivaldirittiumani,it

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