Raffaella Romagnolo ci racconta il Festival Letteratura di Mantova con gli occhi di una scrittrice a passeggio per la città
Mantova mi piace perché per strada la gente parla di ermeneutica e Virginia Woolf, sta in coda non solo per il campione di incassi, ma anche per l’oscuro romanziere finlandese, oppure si riposa su una panchina ascoltando un raccontino di Tommaso Landolfi.
Stiamo – Autori Ospiti e Imbucati come me, ma anche editor, agenti letterari, addetti stampa e perfino giornalisti di Radio Tre – stiamo dentro una palla di vetro con neve e carillon, una sospensione della realtà al profumo di sbrisolona, consolante come una salamella, stiamo belli comodi nel migliore dei mondi possibili, dove l’unica cosa che conta è come si scrive un buon racconto, come ti è venuta l’idea, se stai già pensando al prossimo libro, se l’Arte ha medicato le tue ferite.
Certo, non bisogna rompere l’incanto. Non far cenno a crisi, librerie che chiudono, tirature basse, dati di vendita. Ma via, perché intristirsi? Guarda piuttosto quant’e bella Mantova, Palazzo Ducale, la Basilica di Sant’Andrea, i cigni del Mincio, e, in tanta bellezza, reading ai giardinetti, conferenze sotto la tenda, la libreria in piazza e i libri usati sotto il portico, volontari che chattano, sorridono e amoreggiano.
E gli Autori Ospiti, quanti, quanti! Cento? Duecento? In sala stampa non sanno dirmelo, hanno perso il conto. Incontri su incontri, comunque. L’ultimo evento porta il numero 260. Covacich racconta di un tempo lontano, Genovesi del suo paese e delle sua infanzia, Capossela del suo paese e della sua infanzia, Mari del suo paese, di Milano e della sua infanzia, Valerio della casa della sua infanzia, Nori del suo paese (non mi pare della sua infanzia), Hertmans di suo nonno e della sua infanzia, Furlani l’alpinista del suo paese e della sua infanzia.
Torniamo tutti bambini. Ridiamo tantissimo. Qualunque cosa dica Capossela, parte un applausone. E si ride perché è davvero una festa, quattro giorni e mezzo e poi tutti a casa, semel in anno e ricomincia quaresima, là, nel mondo vero, dove nessuno parla per strada di ermeneutica e Virginia Woolf e l’Arte sarà comunque Possibile, ma Irrilevante.
Si ride anche troppo, mi sembra, un divertirsi un po’ per forza, pattinare sul ghiaccio e far finta di non sentire gli scricchiolii.
Ma forse questa è solo l’impressione di un Autore Imbucato troppo incline alla meditazione. Lo dice anche la grafologa che in Piazza Erbe presta servizio di Pronto Soccorso Grafologico. Troppo spazio tra una parola e l’altra, signora, troppa riflessione.
Non ha idea di quanto sia vero. Provo allora a raccontarvela meglio, quest’impressione, mettendoci anche qualche dato di realtà, come dovrebbe fare un giornalista che meriti il pass giallo da giornalista che da quattro giorni porto al collo.
Visualizzate il portico d’onore del Palazzo Ducale. Cercatelo su Google Images, è una meraviglia di archi e luce. La sala è stracolma, a occhio almeno duecento persone, qualcuno ha il Moleskine tra le mani, qualcuno è pronto al selfie, e comunque sono tutti qui a sentire cos’ha da dire il romanziere finlandese poco loquace, a sganasciarsi per un sì o un no. Bello, no?
Bene, adesso date un’occhiata al tavolo dei libri in vendita. Prolifici, il finlandese e il Nori che lo accompagna. Autori Ospiti che lavorano duro. Infatti ci sono tanti titoli per ciascuno, bei libri con belle copertine, ma poche copie. Troppo poche, per tutta ‘sta gente. Gente entusiasta, badate, gente che applaude a più non posso, ma poi il libro lo comprerà? Lo leggerà? Ci sarà tempo, e voglia, finita la festa?
Mantova è alla diciannovesima edizione. Secondo me lo sanno, quelli del tavolo, quante copie è bene portare.
Immagine: Piazza Castello Mantova by Giorgio Galeotti
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