Un’arca alla deriva con a bordo una società disfatta quella rappresentata dal “Nabucco” di Ricci/Forte al Regio nella cornice del Festival Verdi 2019, ridondante di citazioni cinefile e letterarie dal regista Wong Kar-wai al guru della fantascienza Ray Bradbury. Meno convincente Luisa Miller alla chiesa di San Francesco del Prato
Nel futuro distopico del Nabucco secondo Ricci/Forte, produzione clou del Festival Verdi 2019 in scena fino a domenica 20 al Teatro Regio di Parma, è rimasta solo un’arca alla deriva in un “waterworld” senza più regole. A bordo, una società a brandelli attraversa le quattro parti dell’opera, sottomessa ai deliri di “capitan Nabucco” che imprigiona gli Ebrei-naufraghi spogliandoli di colpo di documenti, abiti e identità, costringendoli a muoversi come fantasmi tra i monumentali e ferrosi interni della corazzata, con una spugna in mano per strofinarsi di dosso i pochi rimasugli di umanità. Salvo poi sognare a occhi aperti con qualche libro mutilato in mano, mentre le tracce del nostro ingegno artistico-scultoreo sbirciano dagli imballaggi nel Va, pensiero più politico che si possa immaginare, vista l’epoca di zero assoluto culturale in cui ci troviamo a vivere.
Questo a grandi linee il progetto del duo teatrale, ormai impegnato sempre più ufficialmente nel melodramma, qui con prodigalità di citazioni cinefile e letterarie, da Bradbury alla Atwood a Wong Kar-wai. Il risultato è di alto livello non solo visivo ma emotivo, per la pertinenza con le atmosfere verdiane agitate, confuse, in continua alternanza di pieni e vuoti, di privato e pubblico, tanto che il senso di epica reminiscenza della partitura entra in risonanza con queste allucinazioni post-apocalittiche. Per non parlare delle azioni durante i cambi scena, stilizzate e agghiaccianti, in cui basta un filo azzurro a rievocare tutte le immagini di annegamento di migranti impresse nel subconscio di massa.
Può darsi che non torni proprio tutto, e probabilmente si esce da teatro convinti più dalla forza espressiva dell’intero che dalla coerenza logica dei tanti, tantissimi ingredienti. Ma il valore della scommessa drammaturgica che i due artisti hanno fatto su “Nabucco” è innegabile, tenuto conto che il pensiero registico può contare sull’energia narrativa e sullo slancio di Francesco Ivan Ciampa, che in buca asseconda con la Filarmonica Toscanini questa visione dall’abisso curando le ragioni del dramma musicale verdiano. Notevole il cast: Amartuvshin Enkhbat, Saioa Hernández, Michele Pertusi, Annalisa Stroppa e Ivan Magrì. Straordinario il coro del Regio. Immancabili le folkloriche proteste in sala, a suon di “Povero Verdi”, con una parte del pubblico inorridito dagli intermezzi teatrali che, s’intende, sono i momenti migliori dello spettacolo.
Quanto alla Luisa Miller oratoriale affidata a Lev Dodin e messa in scena nella Chiesa di San Francesco del Prato in ristrutturazione – ultima replica il 19 –, va detto che in parte lo spazio era inaffrontabile e in parte non è stato proprio affrontato. Insomma, spettacolo francamente un po’ noioso. Anche se, avvicinandosi all’abside, si intuiva un crescendo drammatico, ma talmente impercettibile che quasi nessuno se ne è accorto. Eppure si riconoscevano gli indizi di una finezza psicologica, quello che la mano di Dodin ha (o avrebbe) tirato fuori dalle interpretazioni degli innamorati Francesca Dotto e Amadi Lagha, altrimenti corrette ma convenzionali. Peccato, perché quell’Intrigo e amore di Schiller – da cui l’opera di Verdi è tratta – con gli attori del Maly Teatr di San Pietroburgo, visto al Piccolo nel 2014, è indimenticabile. Forse la delicatezza teatrale di Dodin, commovente perché fatta di niente, è sempre meno compatibile con le logiche assolute del melodramma. Quanto a Roberto Abbado, ha diretto l’orchestra del Comunale di Bologna tenendo conto più della finezza e dell’elaborazione della partitura, che dei suoi moventi drammatici. Completano la discreta locandina Franco Vassallo, Gabriele Sagona e Riccardo Zanellato.
Immagine di copertina © Roberto Ricci – Teatro Regio di Parma