Ancora in solitario, l’altra metà degli Everything but the girl se ne esce con un album, Fever Dream, di grande stile. E posa il suo sguardo dolce e doloroso sulla realtà delle cose
Ben Watt (uscito in queste settimane il nuovo CD Fever Dream) è stato a lungo la metà maschile degli Everything but the girl, duo formato con la voce magnificamente dolce e malinconica di Tracy Thorn. La coppia insieme ha inciso tante belle cose fra il 1984 e il 1999, la più famosa in italia è sicuramente Missing, brano acustico diventato dance grazie al remix sapiente di Tood Terry.
Poi gli EBTG si sono sciolti, per un motivo molto semplice: Ben e Tracy sono sposati, hanno tre figli e non volevano crescere i loro ragazzi nel casino della vita di una band che fra dischi, tour, promozione non ha il tempo e il modo di fare una vita normale.
Due anni fa Ben Watt – dopo aver fatto lo scrittore con un buon successo – torna a fare musica da solo, pubblicando un disco solista, intitolato Hendra. I buoni i riscontri del pubblico, lo convincono a riprovarci, appunto con questo Fever Dream.
La cifra stilistica di Watt è una morbida malinconia da inglese che ha vissuto la ribalta degli anni ottanta e la vertigine elettronica degli anni novanta, quella che gli ha permesso con la sua band di uscire dall’angolo e tornare al successo.
Watt scrive musica con grande stile, toni bassi, sguardi dolci e dolorosi sulla realtà delle cose. Fever Dream è principalmente un disco acustico, in linea con la prima fase della carriera degli Everything But the girl. Non c’è la voce ammaliante di sua moglie Tracy, ma la voce di Ben regge bene le parti trasformando ogni pezzo in una melodia in bianco e nero, come certe immagini con la scala dei grigi scelta così bene da raccontare la realtà meglio di una foto a colori.
Il singolo che ha aperto la strada a Fever Dream è Gradually, brano elettrico che ricorda al meglio una ballata di John Martin, se avesse potuto comporla oggi. Il video è stato postato in anteprima dal Guardian, e rende bene quel clima di fame di vita e di voglia di altri orizzonti che non si vedono. Nel video il tutto è reso dall’incontro fra una prostituta e un artista, ovviamente raccontato in bianco e nero dal regista John Jeanes.
L’album musicalmente è figlio della collaborazione di Watt con Bernard Butler, leader e chitarra dei Suede: come strumento effettivamente la chitarra domina, anche perché il buon Ben l’ha sempre privilegiata. Tra i pezzi da segnalare c’è una ballad pressoché perfetta come Faces of my friend, un pezzo alla EBTG come Between two fires (e qui io un po’ di nostalgia della voce di Tracy Thorn c’è l’ho, lo ammetto) e il brano finale New year of grace, trasparente nella sua semplicità grazie anche ai cori di Marissa Nadler.
Bel disco, da viaggio riflessivo anche per la prossima estate: dovete avere dentro quello spleen che era l’altra faccia degli anni ottanta. Non era tutto oro quello che luccicava, e chi c’era ed è rimasto a cantare storie come Ben Watt lo sa.
Ben Watt, Fever Dream (Unmade Road)