Lo sbarco autunnale di Netflix costringerà la nostra tv a darci serie credibili e non stereotipate? Ci porterà al fine fuor di Gubbio? Domande di inizio estate
Ci siamo gente. Siamo di nuovo in quel periodo dell’anno. Quel momento in cui la televisione va in vacanza: il commissario Rex fa la guardia al palinsesto mentre Terence Hill spadroneggia indisturbato sul primo canale. E noi? Noi restiamo davanti alla tv, come inebetiti, a porci alcune fondamentali domande: «Perché non ho chiamato prima il tecnico di Fastweb? Perché invece di guardare la première della seconda stagione di True Detective, sto assistendo al de profundis della fiction italiana?».
Forse sto esagerando. Forse criticare Don Matteo, arrivato alla soglia della decima stagione, è facile quanto sparare una bomba atomica sulla Croce rossa. E allora dovrei provare a guardare il lato positivo: se una serie così longeva vince ancora ogni gara di ascolto, un motivo ci sarà. Escludendo l’intervento divino (il conflitto di interessi è una faccenda tutta umana), si potrebbe ipotizzare che le storie del prete più intuitivo di Rai Uno abbiano tanto successo perché capaci di raccontare uno spaccato della nostra società a milioni di persone. Perciò il problema potrebbe essere mio. Sono io che non colgo il valore intrinseco di quelle vicende edulcorate. È colpa mia: io non apprezzo la gentilezza degli autori che si sono impegnati a scrivere personaggi così semplici affinché io non facessi troppa fatica a distinguere tra buoni e cattivi. Sbaglio perché mi ostino a non voler comprendere la morale di quella favola, anche se mi viene ripetuta in ogni singolo episodio. Insomma devo confessarlo: quando vedo in azione il dinamico duo, Hill e Frassica, finisco sempre per infrangere il decimo comandamento desiderando ardentemente la roba d’altri, nello specifico, le serie tv di Hbo e Netflix.
Lo so, sono una spettatrice imperdonabile perché ripudio Gubbio per scegliere Gomorra. A mia parziale discolpa però potrei dire che la responsabilità di tutto questo non è solo mia. Io sono stata indotta in tentazione da un essere molto potente. No, non parlo del biscione di Milano 2. Quello ha perso ogni fascino quando ha iniziato ad occuparsi de Le tre rose di Eva, senza mostrare alcuna attenzione per l’onore e il rispetto del pubblico. Io mi riferisco invece a qualcuno capace di irretire anche un tipo scaltro come Frank Underwood, House of Cards per capirci. Sì, il mio cammino verso la perdizione è iniziato quando Sky mi ha proposto storie nuove e accattivanti. Quel colosso non mi ha promesso di portarmi a Un Passo dal cielo o tra le braccia rassicuranti di nonno Libero, ma mi ha garantito che avrei vissuto avventure da Romanzo Criminale e sfide al limite dell’impossibile, come comprendere all’istante un’intera frase pronunciata da Tea Falco.
Mentiva quel satanasso, anche quando mi ha detto che tutto nasceva «da un’idea di Stefano Accorsi». Io però non lo sapevo e così non ho saputo resistergli. Dieci episodi più tardi mi sono resa conto di aver commesso un errore. Io credevo che 1992 avrebbe saputo raccontare il nostro Paese, le sue fobie, le sue speranze ma non è successo. Mi illudevo quando pensavo che mettere in scena la fine della prima Repubblica fosse un modo per spiegare l’inizio della terza.
Mi sbagliavo eppure non chiedo molto: vorrei solo che qualcuno riuscisse a scrivere una serie in cui ci si possa riconoscere. Una storia che abbia dei protagonisti credibili e sfaccettati. Mi piacerebbe che quei personaggi si esprimessero con linguaggi credibili e vivessero in una realtà lontana da qualsiasi stereotipo pubblicitario. Vorrei appassionarmi a una show che racconti qualcosa del nostro Paese, senza rinchiudersi in trame piatte e scontate. In sostanza penso che sarebbe importante riuscire a produrre fiction in cui nessuno senta il bisogno di impartire una lezione o una morale. Non c’è nessun compito pedagogico da assolvere. È necessario invece che la televisione italiana abbia il coraggio di mettere in scena storie capaci di mettere alla prova l’attenzione e il senso critico del pubblico. Bisogna scommettere sull’intelligenza dello spettatore, senza prenderlo per mano per guidarlo lungo tutto l’intreccio.
Serve un cambio di rotta. Non tutto è perduto. Per noi telespettatori c’è qualche speranza. Possibilità numero uno: troviamo il telecomando e spegniamo la tv senza aspettare che Don Matteo scopra il colpevole. Possibilità numero due: attendiamo fiduciosi il prossimo ottobre, quando Netflix sbarcherà finalmente in Italia. A quel punto la piattaforma di streaming on demand potrebbe iniziare a produrre nuove serie inducendo anche Rai, Mediaset e Sky a realizzare fiction migliori per vincere la concorrenza. Dopo anni di penitenza, forse, è arrivato il momento per la nostra ricompensa?