Barenboim seduttivo, regia non sempre all’altezza

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fidelio prima scala

Fidelio: una prima scaligera lungamente applaudita. Il Maestro si congeda da trionfatore, le scelte della Warner a volte convincono, altre meno: ecco perché

O namenlose Freude! Davvero una “gioia indicibile” il successo del Fidelio per questa Prima della Scala, e ancora di più considerando che l’anteprima giovani del 4 era partita con il primo oboista in ritardo di venti minuti: sono stati fatti dei progressi. Si tratta di una prima importante, tra il saluto di benvenuto al nuovo sovraintendente, l’inizio della stagione che a Maggio culminerà nell’Expo e l’addio di Barenboim a Milano.

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E proprio quest’ultimo è stato il vero trionfatore della serata. Nel Fidelio Barenboim è un turbine di magnificenza musicale: irresistibile e focoso, ha trascinato il pubblico ovunque volesse. Certo si capisce che il direttore argentino anela a un infinito non richiesto dalla partitura. Beethoven è stato un artista terreno più che celestiale. Un classico, l’ultimo dei classici, non un romantico. Ma Barenboim sta tra chi fraintende tutto ciò, e bastano le prime note della Leonore n° 2 per convincersene. Nell’esecuzione l’Ouverture sembra un tempo di sinfonia di Mahler: il risultato toglie il fiato dalla bellezza, ma è chiaro che siamo di fronte a un atto di autocompiacimento. Nel succedersi delle scene ci sono stati altri segnali di disinteresse delle dinamiche teatrali a favore di ricercati preziosismi musicali: un danno ad esempio l’ha subito il sublime Quartetto del primo atto, troppo dipanato e per questo impoverito di pathos. Ma i finali d’atto, l’introduzione della scena di Florestan, il duetto della fossa tra Leonore e Rocco sono da inserire tra le esecuzioni di oggi che passeranno alla storia. Lo stile di Barenboim sarà anche poco equilibrato nel repertorio classico, ma alla Scala mancherà questa sua capacità seduttiva.

Venendo alla regia, Deborah Warner ha dichiarato che il suo Fidelio è una versione femminile della discesa di Orfeo: la regista britannica, enfatizzando la tematica amorosa, pare abbia lavorato su una lettura allegorica e intimista del libretto, liberandolo dalla solita tiritera politica che si vede sempre. Ciononostante quel che si nota vedendo lo spettacolo non è di certo la coppia principale Florestan-Leonore, affrontata in modo approssimativo. Sono piuttosto Marzelline e Jaquino che si mostrano sotto una luce inedita: maliziosa e oca lei, impulsivo e passionale lui. Non vanno quindi esecrate le scene iniziali un po’ enfatiche con l’asse da stiro rovesciato da Jaquino per furibonda gelosia, proprio perché funzionali a quest’unica intuizione registica validamente condotta. Per il resto le idee sono povere e mal gestite. Ad esempio nella scena della colluttazione con pistola tra Leonore e Pizarro i tempi non funzionano e la risoluzione con l’arma che si sgretola è alquanto oscura. Totalmente ridicolo è poi il momento dell’irruzione del ministro Fernando, che pare vestito come l’addetto alla sicurezza di un’azienda. È inclassificabile infine la nevicata natalizia durante la scena corale conclusiva.

In ultimo le prestazioni dei cantanti. Quella della Kampe è una voce potentissima ma poco controllata, specie negli acuti. Eppure la cantante ha dalla sua un’importante presenza scenica grazie a cui resta credibile dall’inizio alla fine. Senza infamia e senza lode l’esitante ma composto Florestan di Vogt. Pessimo il Pizarro di Struckmann, che tenta di risolvere palesi difficoltà vocali con derive veristiche alla Scarpia. Graziosi la Erdmann e Hoffmann, anche grazie alle indovinate scelte registiche. Sufficiente Mattei. Meraviglioso il Rocco di Youn, senza dubbio il migliore della serata.

Fidelio al Teatro alla Scala fino al 23 dicembre (repliche 10, 13, 16, 20, 23 dicembre)

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala, direttore Daniel Barenboim, regia Deborah Warner, scene e costumi Chloe Obolensky

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