Il film di Chloé Zhao (statuetta alla regia), cinese trapiantata negli Usa, con una straordinaria Frances McDormand (alla suo terzo Oscar) mostra una variante contemporanea del mito della frontiera e del viaggio, esteriore e interiore: una vita on the road, in una casa-roulotte senza luce e acqua, polizia e governo. Lontano da ogni convenzione e senza obblighi sociali. Una scelta da cui non si torna indietro
In fondo Nomadland, miglior film e miglior regia (di Chloé Zhao) agli Oscar 2021 (esce da oggi, 29 aprile, sia nelle sale, sia sulla piattaforma Disney+) è il manifesto della più antica poetica americana, quella della frontiera, quindi del viaggio, del continuo spostamento, esteriore e interiore. Ai tempi di Cimarron di Anthony Mann a guidare la carovana verso l’Ovest c’erano Glenn Ford e Maria Schell, ora nel film dai tre Oscar c’è una strepitosa Frances McDormand (alla terza statuetta dopo Fargo e Tre manifesti a Ebbing. Missouri, si avvicina a Katharine Hepburn) che sintetizza quel bisogno di movimento, di scoperta, quella voglia che domani sia sempre e davvero un altro giorno, passata attraverso gli esami anche della filosofia hippie: on the road, the sequel.
Rosi, nel senso di Gianfranco, aveva diretto tredici anni fa Below sea level, documentario presentato a Venezia sulla vita nomade di quei gruppi sociologicamente assortiti che, anche volontariamente, scelgono la roulotte al posto della casa e vivono felici senza elettricità, senz’acqua, senza polizia e senza governo. Ora la cinese trapiantata in Usa Chloe Zhao, seconda donna premiata dall’Oscar per la regìa dopo Katherine Bigelow e prima asiatica, che con Rider aveva già mostrato di aver assorbito la lezione del western e la passione del rodeo, entra nello specifico dèmi patologico di Fern, donna 60enne che dopo aver perso lavoro e marito nel crollo economico di Empire, cittadina del Nevada legata al cartongesso, si mette in auto per affrontare una vita fuori dalla logica borghese, da qualsiasi convenzione ed obbligo.
Viaggi ad orizzonte perduto, lavori saltuari ad Amazon (interessante l’interno vero dello stabilimento del famoso marchio, stile “Tempi moderni”), incontri anche saltuari con persone che forse non rivedrà, bye bye. Quando qualcuno le propone un legame più fisso e la festa in famiglia, Fern tenta, ma poi scappa, sempre alla ricerca di una nuova illusione-delusione, accoppiata da cui non si separa.
E’ da una cinese trapiantata che viene il sogno americano oggi congelato nella crisi con un film mai retorico e pieno di sfumature, oggi merce rara (ha vinto infatti anche il Leone d’oro all’ultima Mostra di Venezia), che esplora panorami bellissimi, squarci di cielo, interni di van e suv, lungo il tragitto di una solitudine che si riflette solo nella natura, Edward Hopper coi suoi interni metropolitani non abita più lì. Il nomadismo è quindi una scelta di sopravvivenza e il mosaico dei vari incontri con le persone che “capitano” intorno è di una speciale varietà ben organizzata dalla sceneggiatura “casual”: gli uomini vanno e vengono, dicono i poeti, resta la bellezza della natura e forse solo la roccia è reale.
La regista (anche primo Golden Globe d’autrice dopo 37 anni, l’ultima è stata Barbra Streisand per Yentl, 1984) dirige un piccolo grande poema sulla ricerca della solitudine, e per essere veritiera la Zhao ha vissuto davvero alcuni mesi girovagando coi nomadi (due, tra gli altri sono compagni nel film) inseguendo la poetica della strada deserta, pur dichiarando di non aver avuto mai scopi di denuncia sociale. Si tratta di una specie di vitale ossimoro: ricerca di una “singletudine” ma senza ignorare il piacere della comunità e del fuoco acceso la sera, uno per tutti e tutti per uno. La McDormand è così brava che fa intuire anche quello che nel film non sempre è dichiarato, tanto che alla fine Nomadland risulta essere oggi un film molto significativo, utile ai tempi claustrofobici in cui viviamo, il sogno di un western in cui non spara nessuno.
Nomadland di Chloé Zhao, con Frances McDormand, David Strethairn, Linda May, Charlene Swankie, Derrick Janis, Cat Clifford, Emily Jade Foley, Peter Spears