Dentro una ‘bottega’ di restauro digitale, al viennese Austrian Film Museum: come e cosa si salva, quello che abbiamo perduto (per esempio l’80 per cento del muto)
A ognuno di noi sarà capitato di avere a che fare con un film in versione restaurata. Si stanno infatti facendo strada sempre più frequentemente nella distribuzione, al cinema, ai festival, in dvd, film del passato rieditati: da poco arrivato sugli schermi Tempi Moderni, in uscita Pane e Cioccolata, solo per fare due esempi. Eppure ben poco si sa di quest’arte e dell’oscuro mestiere da artigiano che è il restauratore di film. Ce lo raccontano Claudio Santancini e Julia Ciarrocchi, che dirigono il laboratorio di restauro digitale dell’Austrian Filmmuseum di Vienna.
Perché si restaurano film?
Per lo stesso motivo per cui si restaura qualsiasi altra cosa: per poter continuare a goderne. Il film è un oggetto a cui attribuiamo un qualche tipo di valore, etico, estetico, culturale, storico. E anche il film è sottoposto, non meno di un mosaico o di un affresco, all’usura del tempo. Il restauro è uno tra i possibili tentativi per renderlo nuovamente proiettabile per noi oggi e per le generazioni future.
Quali enti si occupano del restauro?
Non soltanto le cineteche. Queste, assieme a musei, e “archivi” dei film, detengono sicuramente alcune tra le più belle e ricche collezioni di film. Non da meno sono però le case di produzione e distribuzione, nei cui archivi sono conservate copie preziose che una volta restaurate riacquistano un valore commerciale. Ci sono poi laboratori privati che eseguono interventi per conto di committenti esterni. Infine c’è il caso limite dei privati, come collezionisti, cinefili, appassionati…Ognuno degli attori citati gestisce il lavoro per diversi fini e con diversi mezzi.
In base a cosa si sceglie un film da restaurare?
E’ sempre un po` come una partita a poker. I giocatori sono tecnici, archivisti, produttori, curatori, cineasti, clienti privati, istituzioni pubbliche…Non ultimo, anche il gusto del pubblico ha il suo peso. E ovviamente il budget a disposizione. Non ci sono quindi dei criteri universali per la scelta, ma sicuramente non possiamo negare l`esistenza di un certo tipo di gerarchia. Generalmente i film che hanno la priorità sono quelli più a rischio, che non sono necessariamente i più vecchi. Per esempio al Filmmuseum, che è un’istituzione votata alla diffusione e alla conservazione soprattutto del cinema sperimentale, si lavora costantemente anche al restauro di film degli anni Sessanta, Settanta e oltre. Inoltre ogni istituzione fa anche un po’, giustamente, i propri interessi: è difficile che una mediateca regionale del nord Europa prenda in considerazione i film di famiglia di un pescatore siciliano, prima di avere la sicurezza che il resto della propria collezione sia in salvo.
Si è mai lasciato morire un film?
Circa l’80 per cento del patrimonio di film realizzati all’epoca del cinema muto è andato perso. Politiche e pratiche di salvaguardia si diffusero dagli anni Trenta, quindi in un certo senso, sì, abbiamo lasciato morire molti film. Questo solo per parlare delle cinematografie del mondo occidentale. In alcuni paesi si sono verificate e continuano a verificarsi considerevoli perdite del patrimonio cinematografico. Anche oggi viviamo una situazione molto delicata con i dati digitali, per i quali non esiste ancora una valida strategia di conservazione.
Come avviene un restauro?
Non esiste un manuale, una procedura standard al termine della quale puoi ritenere il restauro terminato. Ogni restauro è un compromesso tra il materiale di partenza, l’obiettivo che ci si è fissati e il tempo e i mezzi, tecnici, economici, che si hanno a disposizione. La procedura standard funziona a grandi linee così: si parte analizzando le condizioni del film. Sono utili anche tutte le informazioni possibili sulla storia della copia, sulle condizioni di produzione dell’epoca, sull`eventuale presenza di copie in altri archivi, su interventi già svolti da qualcun altro sullo stesso film. Dopodiché le strade sono infinite: si va dal caso estremo e fortunato in cui il film versa in buone condizioni, per il quale è sufficiente effettuare una copia. Se il film versa in cattive condizioni, lo si ripara manualmente e poi si passa alla fase digitale: la pellicola viene scansionata e il film diventa un file, ritoccabile con i software specializzati per il digital retouch (rimozione di polvere e graffi, stabilizzazione, dewarping, denoise…) e una eventuale color correction. Infine si ritorna, se possibile, su pellicola per la conservazione. Generalmente buona norma del restauro è quella del minimo intervento, meno si fa, meglio è. Un restauro dev’essere anche reversibile: il film restaurato non sostituisce il vecchio né è un punto di arrivo. Costituisce un ulteriore passo nella storia materiale del film: subirà anch’esso gli effetti del tempo.
Con l’avvento del digitale le pratiche di restauro sono cambiate radicalmente e si sono fatte sempre più sofisticate. Ma quale sarà il futuro del restauro?
Se lo sapessimo saremmo molto più tranquilli. Il cinema è fatto di futuro incerto e previsioni disattese. D’altronde uno dei fratelli Lumière aveva detto: «Le cinéma est une invention sans avenir».