“Finding Fela” è il biopic sul creatore dell’afrobeat, attivista per i diritti civili. Musica, politica e vita di una delle più significative voci dell’Africa
Finding Fela, il docu-film di Alex Gibney sulla vita e la musica di Fela Ransom Kuti, inventore dell’afrobeat, attivista panafricanista, promotore della black culture in Occidente, dopo il debutto al Festival di Sundance, ha aperto al Circolo Magnolia la rassegna estiva dedicata, tutti i lunedì, a una selezione di biopic distribuita da Wanted Cinema.
Difficile rispondere alla domanda se potrà nascere un altro musicista così talentoso, incontenibile, smodato nella vita privata e nell’amore per il suo paese, bellissimo e dolente, e capace di una sonorità che è al contempo arte e atto politico. Fela Anikulapo Kuti nasce nel 1938 a Abeokuta, Nigeria del Nord, da genitori colti e assai battaglieri. Sua madre, femminista, è stata “la prima a guidare l’auto in tutta l’Africa”: un modello positivo da cui lui prenderà però le distanze, dato che alla parità dei sessi non crederà molto.
Mandato a studiare medicina a Londra, preferisce i corsi di tromba e composizione al Trinitiy College. Ragazzo timido e poco avvezzo alla mondanità, sotto la guida di Tony Allen, suo mentore nella musica e nella vita, fonda la sua prima band, i Koala Labitos. Da lì, la carica di Fela esplode prorompente in ogni suo aspetto esistenziale: inventa l’afrobeat, che fonde highlife, il melting pot musicale nato sulla costa del Ghana, i canti religiosi dei musulmani yoruba e il jazz e il funk creoli della diaspora africana negli USA, dove approda nel 1969 in tempo per innamorarsi del pensiero di Malcolm X e di Sandra Isidore, attivista del Black Panther Party.
La politica di liberazione dell’Africa produce lunghissimi song – a chi giudica prolissa la sua musica, dirà «io canto tutto quello che sento» – per l’esaltazione del pensiero panfricanista: con il gruppo di musicisti Africa 70 fonda la Repubblica Libera di Kalakuti, uno studio di registrazione ma anche un’utopia possibile, dove si fuma marijuana e si pratica la poligamia. Fela, che si era sposato da ragazzo e aveva tre figli, che accompagnava a scuola in divisa ogni mattina dopo ogni notte brava, di mogli ne avrà 27 con cui convolerà a nozze nel pan-matrimonio più chiacchierato delle cronache del tempo.
La sua vita politico-musicale è burrascosa: nell’album Zombie paragona polizia ed esercito ai leggendari morti viventi, scatenando così le ire del regime, che brucia gli studi della Libera Repubblica, e tortura Fela e la madre, morta l’anno successivo. Nel 1979, fiaccato nel corpo ma con spirito intatto, fonda il Nigerian Movement of the People ma non riesce ad affermarsi. La sua carriera prosegue con gli Egypt 80 ma sempre più rarefatta è la fede nel cambiamento di uno Stato e un paese che lo venerano e lo censurano, fino alla malattia, alla comparsa dei tagli e alla gogna che Fela si autoimpone per pudore, per non deludere il suo popolo. Muore di Aids il 2 agosto 1997, e al funerale ci va più di un milione di persone.
Nel film di Gibney vediamo spezzoni di concerti e di riti collettivi, interviste a Fela e ai suoi amici, a Sandra, ai figli, a vari politici, fino alla testimonianza di Sir Paul McCartney: 120 minuti per l’intenso ritratto di una bandiera dell’attivismo musicale unito alla volontà di cambiamento. Oggi, forse, di Fela Kuti non ne nasceranno più: il teatro della politica è un altro e quello musicale ne rivendica spesso la lontananza in favore di una ricerca estetica. A parte il seme di rinascita gettato dalla cultura rap e dal giovane Kendrick Lamar, che in To Pimp A Butterfly ne celebra la memoria. Music is a weapon, “ la musica è un’arma”, diceva Fela. Ancora carica.
Finding Fela, di Alex Gibney, documentario su Fela Kuti