Un bacio è solo un bacio? O è piuttosto, sempre, una rivelazione? E quando è un segreto? E se fosse l’arma di un disvelamento oltre la propria volontà? La via per un possibile ricatto? Lo specchio di una realtà non immaginata?
Nel romanzo d’esordio di Flavio Nuccitelli, pubblicato da Fandango, tutta la “Frenesia” del momento in cui ci si scopre presenti alla propria vita.
Frenetica è la vita. Anche quella all’apparenza più normale, più quieta, più stabile nasconde un’ombra di mania. Gli sfoghi personali, le idiosincrasie nei confronti di ciò che non viene accettato della propria profondità o identità, gli spigoli di un’esistenza a metà tra ciò che si vuole e ciò che si deve fare vengono fuori, a un certo punto, ed è necessario farci i conti.
E quale età più frenetica, se non l’adolescenza? Quale età più folle se non quella in cui si comincia a trovare il lato che ci definirà, poi, con l’avanzare degli anni?
Frenesia è il primo romanzo di Flavio Nuccitelli pubblicato nella collana Weird Young di Fandango. E sebbene si rivolga a un pubblico giovane andrebbe letto anche da chi, non più così tanto giovane, ha bisogno di riprendere le fila di un età ormai lasciata alle spalle.
È come se, leggendo questa storia, si avesse la possibilità di fare ciò che non si è potuto fare, di trovare un suono nuovo del proprio passato e di lasciare un lato della propria anormalità libero di sfogarsi, senza nessun tipo di convenzione sociale a tenerlo occluso.
L’amore di Valerio per la piscina è iniziato per caso. Un pediatra che dice ai suoi genitori che “il nuoto è uno sport completo”, unito al fatto che il calcio non gli era mai piaciuto neanche guardarlo; anzi, aveva sempre corso in direzione opposta rispetto alla palla per non ritrovarsi mai in mezzo all’azione.
Dopo un primo tentativo fallimentare, quando Valerio aveva quattro anni e rimaneva in piscina a fare il morto a galla per tutta la lezione, erano seguiti altri quattro anni in cui i suoi genitori gli avevano fatto provare praticamente ogni sport possibile, dalla pallavolo al judo, nella speranza che si appassionasse di qualcosa.
Alla fine, prima di gettare la spugna, avevano deciso di ritentare con il nuoto e quella volta, chissà perché, era stata quella giusta.
Valerio è un ragazzo alla continua ricerca della strada “giusta”, quella definitiva, quella in cui trovare sé stesso, quella in cui sentirsi accettato e compreso. La storia di uno che diventa la storia di tutti. Per colpa di un bacio, Valerio sente un fischio fisso nelle orecchie, ossessivo, che lo porta a vibrare su frequenze diverse da quelle a cui è abituato. Cambia repentinamente vita, fa amicizie sbagliate, pensieri contorti, smette di vivere la sua quotidianità perché che senso ha avere una quotidianità se non per essere costantemente alterata? Che senso possono mai avere i riti consueti del giorno se non per essere dimenticati e amare, all’improvviso, la notte?
C’è in queste pagine l’esigenza martellante di distruggersi, per ricostruire con quello che resta una persona nuova, magari che piace di meno, ma che è più coerente con ciò che prova. Un bacio, un singolo bacio dato a lui dall’amico, per scherzo, è il punto di partenza da cui si scatena una discesa non solo negli angoli più remoti e bui di una città e di un baratro, ma anche in quelli del suo interno. Per quanto la storia di Valerio appaia come un frenetico vorticare negli eccessi di una vita materiale, è anche espressione di un profondo viaggio nel buio del suo corpo, in quel buio nel quale è necessario avventurarsi per sapere chi essere. Non chi dover essere, ma chi voler essere.
E strano appare constatare quanto una persona riesca a sentirsi a suo agio con le proprie bugie, non quelle dette agli altri, che in qualche modo si sopportano, ma quelle dette a sé stessi, quelle raccontate all’io vulnerabile per rendersi coerente con ciò che lo circonda.
Domani lo sapranno tutti.
Tutti.
Tutti sapranno che ha provato a baciare Andrea.
Te l’avevo detto che era frocio, ma sì, figurati, era chiaro, l’hai saputo che Valerio è gay? Già le sente nelle orecchie, le voci. Già si sente addosso gli sguardi, tutti gli sguardi. La voce starà già correndo: chat, telefonate, social; dal giorno dopo avrà una freccia in testa e un bersaglio sulla schiena. In qualche modo dovrà farci i conti.
Valerio caccia un urlo con tutto il fiato che ha in corpo, mentre corre sul motorino, è viscerale, sgraziato.
Trovare sé stessi passa anche attraverso gli altri. Frenesia è un romanzo di ossessione del giudizio, dei rumori che si infilano nei timpani e dirigono l’azione del corpo.
L’ossessione degli altri, di ciò che pensano, di ciò che fanno, di ciò che farebbero e che non fanno, l’ossessione di piacere, di essere come chi è accettato e amato, di trovare qualcuno di simile, l’ossessione di diventare qualcuno con un senso per gli altri, di sapere cosa fare. L’ossessione di vivere. E Frenesia è anche un romanzo di colpe, di non essere abbastanza, di non fare abbastanza, di non vivere abbastanza, di non morire abbastanza.
L’adulto che si trova a leggere la storia di Valerio, si ritrova a guardarlo con compassione e con nostalgia, con l’improvviso bisogno di accarezzarlo e dirgli che quello che a lui appare insopportabile, alla fine sarà soltanto un ricordo. E sempre l’adulto vorrà regredire e tornare per un attimo adolescente, vorrà sostituirsi con il protagonista della storia perché nonostante i dolori, le ansie, le strade sbagliate, i sentimenti contorti, chiunque vorrebbe vivere, anche solo per la durata di qualche centinaia di pagine, quell’abbandono senza conseguenze che solo la giovinezza è in grado di dare, per ritagliare un nuovo tempo solo per sé.
Di questo non riesce più a farne a meno, questa libertà gli dà dipendenza ed è per questo che continua a drogarsi e a stare con loro, perché non deve continuamente chiedersi che forma avere, non deve sempre tenersi aggrappato alla corda che percorre il sentiero del limite; quando sta in quelle condizioni, con loro, riesce a uscire fuori da tutti gli schemi, i tracciati, da tutto quello che ha sempre conosciuto e che gli hanno sempre insegnato