La gioventù bruciacchiata di “Footloose” e altro

In Teatro

«Footlose» guida la carica dei musical: e Milano si riconferma capitale indiscussa…

Riprende la stagione dei musical a Milano, riconosciuta capitale del genere, vantando la somiglianza massima possibile per noi con la terra promessa di Broadway. Roma è stata per anni il “Sistina” di Garinei & Giovannini, epoca di Rugantini, Rinaldi e posti a tavola aggiunti; ma ora la città a cinque stelle offuscate è diversificata, con Piparo con al suo fianco Evita e Marconi con Sister Act (entrambi gli spettacoli saranno in novembre a Milano). Da noi la Stage Entertainment che si fa scudo di indagini di mercato per scegliere il cartellone, ha ripreso a produrre, dopo tre anni sabbatici, al “suo” Nazionale, con uno spettacolo vintage per teen agers, Footloose, a dieci anni da una edizione para televisiva degli Amici della De Filippi. Footloose, ridotto per le scene nel ’98 dal film di Ross che lanciò nell’84 Kevin Bacon (ma usurpa la fama di cult, non lo fu mai) fa parte di quegli sgambettanti best seller giovanili, ispirati dal cinema, che hanno spadroneggiato negli anni 80 ed oggi, di ritorno, fanno le fusa al pubblico sempre più minorenne (leggi bambini) senza diventare davvero vintage perché poveri di verità dialogica.

Tutta colpa di Grease e della sua straordinaria carriera, infinita: verrà anche in questa stagione, e a lungo, al Teatro della Luna. Ma Grease è stato IL caso, mentre gli altri show giovanili arrivati dopo (Flashdance, Dirty dancing) sono come imitazioni, ma di assoluta banalità drammaturgica. Così dicasi di Footloose, storia di un ragazzo carino e per bene (Riccardo Sinisi) che vuole imporre la libertà del rock in un paesino rurale del Middle West dove un pastore che sembra uscito da un Bergman in stato di ubriachezza molesta, proibisce la danza soprattutto per un suo personale trauma. E che andrà bene e che il rivoltoso se la farà con la figlia del prete, è tutto scritto (e cantato con accessi di romanticheria acuta, Paradise): resta una colonna sonora rock dal vivo, un cast che ha molte qualità atletiche e di ritmo e sintonia, ma manca totalmente l’interesse della storiella che fa sbadigliare per i due tempi, complessive 2 ore e mezzo. Per trovare qualcosa oltre lo sdolcinato ritratto di questa gioventù bruciacchiata (c’è anche un ragazzo tontolone che ruba la scena a tutti ed è un bravo attore, Giulio Benvenuti) bisogna scoprire indizi di cultura americana nelle scene assolate un po’ Hopper, nella solitudine nel vedere i treni che passano, nella campagnola solidarietà da “7 spose per 7 fratelli”. E domani? Per pochi giorni al Manzoni si riprende il Romeo e Giulietta nuovayorkese rivisto da Bernstein con le coreografie storiche di Jerome Robbins, cioè il celeberrimo West side story con regìa di Federico Bellone, ripresa di un capolavoro che al cinema, rivoluzionando tutto, fece man bassa di Oscar per la regìa di Robbins e Wise. E che ha imposto all’immaginario musicale collettivo song di culto come “Tonight”, “Maria”, “America”: vedremo se la nostalgia sarà ripagata dalla nuova versione. Chi non l’ha visto invece non si perda History boys al Nuovo, che poi riprenderà anche per l’ennesima volta La febbre del sabato sera...

 

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