La nuova edizione delle Nozze di Figaro, che cade nel 225° anniversario della morte di Mozart, deve fare i conti con la splendida regia di Strehler del 1981. Una bella sfida.
Frederic Wake-Walker l’ha affrontata così…
Poco più che trentenne Frederic Wake-Walker è un portento. Nel 2003 ha fondato la compagnia teatrale indipendente Mahogany Group, ora congiunta con Opera Group nel nuovo Mahogany Opera Group, di cui è Direttore Artistico; dirige il progetto artistico berlinese MICAMOCA e lavora con la Jubilee Opera, compagnia per bambini. È simpatico e molto carino. Ha le idee chiare e sa bene cosa vuol dire fare teatro.
I suoi spettacoli stanno acquisendo sempre più fama internazionale e dopo aver lavorato a Berlino, Aldeburg, in Scozia, a Bruxelles, a Rotterdam, a Glyndebourne e al Covent Garden, questa è la volta di Milano e del Teatro alla Scala. E non con uno spettacolo qualunque, bensì con una nuova produzione de Le Nozze di Figaro, notoriamente associate alla splendida regia del 1981 di Giorgio Strehler – ripresa ben otto volte da allora a oggi – nel 225° anniversario della morte di Mozart. Gran responsabilità.
Il cast è formato da artisti di alto livello e fama internazionale come Diana Damrau, Golda Schultz, Marianne Crebassa, Markus Werba, Carlos Àlvarez e Simon Keenlyside (questi ultimi che si alternano nella parte del Conte). Sul podio Franz Welser Möst.
Abbiamo intervistato Wake-Walker per capire un po’ chi è e scoprire qualcosa di queste Nozze, in scena dal 26 ottobre al 27 novembre:
Quando hai deciso che volevi fare il regista?
È stato all’università. Andavo a teatro, ero molto dentro quel mondo, così ho fondato la mia compagnia: volevo provare da solo. È nata in questo modo l’attuale Mahogany Opera Group e così sono partito, così è nata questa mia malattia per il mondo dell’opera!
Quella dell’opera lirica è una realtà che hai scoperto all’università o la frequentavi sin da piccolo?
No sono cresciuto nel mondo dell’opera. Quando ero piccolo cantavo nelle opere, ad esempio ho fatto Miles in The Turn of the Screw. Sono cresciuto nella città di Britten e quindi sono stato molto ispirato e influenzato da lui.
Hai anche studiato uno strumento musicale?
No, ho studiato filosofia e teologia a Edimburgo che era davvero perfetta per chi volesse fare il regista perché era una facoltà brillante nell’analizzare e studiare le persone, i personaggi, la società e la sua struttura, la psicologia.
Quale è stata la tua prima reazione quando La Scala ti ha contattato?
Beh è stato incredibile. Ho fatto La finta giardiniera a Glybourne e lì ho conosciuto Alexander Pereira, nell’intervallo, e lui inizialmente mi aveva detto che gli sarebbe piaciuto portare La finta giardiniera alla Scala. Gli ho consigliato di aspettare la seconda parte dell’opera prima di farmi delle proposte, perché era molto diversa dalla prima; gli è piaciuta e siamo rimasti che si sarebbe fatto sentire. Ho aspettato un paio di settimane, senza sapere nulla, e alla fine mi ha chiamato dicendomi che in realtà gli sarebbe piaciuto che mi occupassi della nuova produzione delle Nozze di Figaro. È stato incredibile perché mentre facevo La finta giardiniera pensavo che sarebbe stato un sogno fare Le Nozze, perché ci sono tantissime somiglianze, connessioni tra l’una e l’altra opera, ci sono tantissimi sketch di cui La finta giardiniera è l’antecedente e Le Nozze il capolavoro e quindi era davvero quello che desideravo. La Scala mi ha letto nel pensiero.
E come è stato lavorare sul palcoscenico della Scala, con questi spazi immensi?
Si, quello della Scala è un palcoscenico molto grande, bellissimo, puoi giocare molto con gli spazi, anche se ovviamente presenta dei problemi; o meglio, ci sono tantissime cose a cui pensare, specialmente nelle Nozze, che è una commedia. L’interazione dei personaggi è fondamentale, con tutte le connessioni tra un protagonista e l’altro, per cui in uno spazio così grande abbiamo cercato di restringere il campo e focalizzare l’attenzione.
Sappiamo che questa tua nuova produzione sarà un omaggio a Strehler. Allo stesso tempo hai detto che, nel mettere in scena un’opera, bisogna contestualizzarla al luogo e all’epoca. Come hai coniugato il passato di Strehler con il presente di oggi?
Io credo che la conoscenza del passato ti porti al presente e ti dia la consapevolezza di chi sei e dove sei, e penso che molte persone sono convinte che basti fare qualcosa di nuovo, slegato con il passato, per essere innovativi ma così si rischia di perdere il punto nevralgico, che per me è davvero conoscere da dove veniamo e riconoscere dove siamo.
E, in questo caso, siamo qui in questo teatro, e in questo teatro ci sono state produzioni di Strehler, e soprattutto delle Nozze, negli ultimi credo 45 anni, e quindi per me era importante ricordare e riconoscere questo. E bisogna lavorare pensando che c’è un pubblico che ha una certa memoria storica e, alla luce di questa, bisogna chiedersi: come vedrà i personaggi? Come vedrà la trama alla luce delle proprie conoscenze, della propria cultura?
Tutto deve parlare a un pubblico contemporaneo ed essere nuovo e fresco.
Riconoscere il passato non significa esserne intrappolati ma semplicemente capire dove siamo adesso, come ci siamo arrivati, da dove arriviamo.
Ma quindi l’opera è ambientata nel passato o nei giorni nostri?
L’opera è ambientata nel diciottesimo secolo, ma la vediamo oggi, nei nostri tempi; ha sicuramente una certa filosofia dietro, che è propria di quel secolo, ma che arriva a noi oggi. Per cui, ad esempio, sì, i costumi sono storici ma ad uno sguardo più attento, così come i movimenti dei cantanti, sono contemporanei; se si guarda in maniera superficiale sembra proprio un’opera del Settecento e infatti dando un’occhiata veloce alle fotografie di scena ci si immagina un certo tipo di spettacolo, molto più tradizionale rispetto a quello che è in realtà. Se invece si guarda l’opera in maniera un po’ più attenta ci si rende conto che non è proprio ambientata in un’epoca precisissima, non è ambientata nel diciottesimo secolo, non è ambientata a Siviglia, non è tutto questo. È Le Nozze di Figaro alla Scala, punto, è qui che l’opera è ambientata.
E proprio perché siamo in questo teatro ho pensato al pubblico di questo teatro, chi sono, che storia hanno… e come è giunta a loro le Nozze, tramite gli occhi di Strehler, tramite l’humus culturale milanese e la sua storia. L’atmosfera è questa e penso molto al modo in cui cercare di comunicare con il pubblico perché una delle cose più belle di fare teatro è proprio il dialogo tra una parte e l’altra, palcoscenico e pubblico. È bello ridere insieme, vivere insieme le stesse tensioni e le stesse emozioni. Spero di essere riuscito a trasmettere tutto questo.
E quale è stata la parte più difficile da portare in scena?
Tutte le scene hanno dei punti di forza e delle difficoltà. Quando si arriva al quarto atto, la vicenda inizia davvero a diventare molto illogica. Tu puoi scegliere se cercare di rimanere coi piedi per terra e mettere in scena tutte le azioni pratiche, o semplicemente godersi i fatti – sin dall’inizio è tutto un po’ illogico e più si va avanti più è così; io ho deciso di seguire questo secondo approccio, godendomi l’opera e tutto quel mondo.
In quest’opera appaiono tutti i sentimenti umani e le situazioni più particolari; qual è secondo te l’elemento più importante da sottolineare, soprattutto ai giorni nostri?
Io credo che la morale di quest’opera sia incredibilmente universale, tutto ciò di cui si parla, tutte le emozioni e i sentimenti sono estremamente umani e non penso che siano legati a una determinata epoca, al diciottesimo secolo o ai giorni nostri; l’opera è complessa e piena di vita, con tutti questi personaggi l’uno diverso dall’altro e tutta la loro follia, e alla fine si giunge al momento in cui la Contessa perdona il Conte e tutti, dal palcoscenico al pubblico, vengono travolti da un sentimento d’amore, perdono e comprensione. Questa è l’idea universale dell’opera ed è anche un’idea impossibile nella realtà, un mondo in cui tutti si amino e tutti siano disposti a perdonare tutto… è impossibile, ma lo stiamo mettendo in scena, oggi, lo vedi davanti a te, adesso, e quindi penso che più che dare una morale della vicenda, qui ci si rivolga al pubblico e gli si faccia una domanda: “Perché questa non può essere la realtà? Perché non può essere vero?”. Io penso che se tutto funzionasse alla perfezione, se noi fossimo perfetti, non avremmo bisogno di un’opera come Le Nozze di Figaro, ma non è così.
Insomma, si chiede al pubblico di interrogarsi, farsi delle domande, mettersi in discussione e assumersi delle responsabilità.
In conclusione vuoi aggiungere qualcosa?
Vai, vai fuori, vai a una festa, ama chiunque, dimentica gli odi e le tensioni, gioisci, e semplicemente vivi, vivi il momento. Questa è per me la cosa più umana dell’opera e il messaggio più attuale da trasmettere oggi.